Operazione Wolf. Pio XII, il nazismo e gli ebrei- THE VATICAN FILES.NET - Storia - Testi - Documenti

Operazione Wolf. Pio XII, diplomazia nella Shoah, usi e abusi della Storia

1. La storia


“Operazione Wolf”.
Sembra il titolo di un film su un’operazione segreta nazista durante la seconda guerra mondiale. Nulla di tutto questo. Non parleremo di tane del lupo, di dove osano le aquile o di altre operazioni in codice. Wolf è semplicemente un cognome.

Hubert Wolf è il professore di Münster, nonché sacerdote cattolico, che di recente ha sollevato un polverone sui media (nell’ordine: Die ZeitKirche+LebenReligion News Service, Washington Post) circa alcune scoperte sul conto di Pio XII nei soli cinque giorni in cui gli archivi vaticani sul pontificato pacelliano sono stati aperti, prima che si richiudessero a causa della gravissima pandemia da coronavirus.

Ecco la storia. Il professor Wolf e il suo gruppo di quattro giovani collaboratori, stando al racconto dei media, avrebbe scoperto che «il Papa [Pio XII], che mai criticò direttamente l’assassinio degli ebrei da parte dei nazisti, sapeva da proprie fonti della campagna di morte di Berlino» ma nascose ciò «al Governo degli Stati Uniti dopo che un suo collaboratore aveva affermato che ebrei ed ucraini – le sue fonti principali – non potevano essere credibili perché mentivano ed esageravano, secondo i ricercatori» guidati da Wolf.

Tutto chiaro? Gli americani hanno bisogno di confermare alcune informazioni che hanno ricevuto, condivise con il Vaticano. Pio XII consulta le proprie ma le tiene segrete agli americani, dato che un collaboratore lo informa che le fonti vaticane, ebraiche ed ucraine, sono menzognere o tendono a esagerare.

Il modo in cui Wolf ha riportato le sue scoperte agli ignari media ha qualcosa di epico. Egli ha affermato di aver scoperto, in soli cinque giorni, l’aspetto peggiore del “silenzio” di Pio XII sulla Shoah: il suo intimo desiderio d’ignorare quanto stava accadendo sotto i suoi occhi agli ebrei in Polonia e in Ucraina.

Ora, come sarà noto, la comunità degli “storici pontifici” ha aspettato a lungo che gli archivi vaticani fossero resi disponibili per continuare un dibattito già da tempo avviato sul ruolo di Pio XII nella seconda guerra mondiale. Tutti sapevano che un lungo periodo di studi attendeva al varco gli storici dopo quel fatidico 2 marzo 2020, quando gli archivi sul pontificato di Pio XII sarebbero stati resi finalmente disponibili. E in effetti, nessuno poteva ragionevolmente sfidare la logica per cui affinare le conoscenze sul pontificato di Pio XII sarebbe stato possibile solo dopo un lungo utilizzo degli archivi, con dedizione, pazienza e attento studio. Abbiamo invece appreso dai media che, nei soli cinque giorni in cui quegli archivi restarono aperti (prima che il coronavirus li richiudesse) un gruppo di giovani ricercatori guidati da un autorevole storico tedesco ha fatto la scoperta del secolo: l’indifferenza di Pio XII alla sorte degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.

Siccome è questo il punto dell’ “operazione Wolf”, dobbiamo quindi vedere com’essa è stata condotta dal suo protagonista.

 

2. La roadmap di Hubert Wolf
 

Scendendo in dettaglio, i passaggi dell’«Operazione Wolf» contro Pio XII sono i seguenti.

a) Il 27 settembre 1942 il Rappresentante personale di Roosevelt presso Pio XII, Myron Taylor, sottopone alla Segreteria di Stato vaticana un promemoria in cui si parla del massacro degli ebrei nel Ghetto di Varsavia. Fonte delle informazioni è un documento dell’Agenzia ebraica per la Palestina, che ha sede a Ginevra. In tale documento di dice che centomila ebrei sono stati uccisi a Varsavia e nei dintorni, mentre altri cinquantamila sono stati uccisi a Lviv (Leopoli), nell’Ucraina occidentale sotto occupazione tedesca
b) 
Una nota interna della Segreteria di Stato prova che Pio XII lesse il documento inviato da Taylor.

c) Nel frattempo, il Vaticano aveva ricevuto due altri promemoria che confermavano le notizie riportate dal rappresentante americano. Tali documenti erano:

c.1.       Una lettera dell’agosto 1942 inviata dall’Arcivescovo di Leopoli, mons. Andrey Szeptyckyj, in cui si diceva che duecentomila ebrei erano stati uccisi in Ucraina dai nazisti.

c.2.       Il promemoria di una conversazione tenutasi a metàù settembre del 1942 tra mons. Giovan Battista Montini (futuro Paolo VI) e il funzionario dell’IRI, Conte Malvezzi, in cui quest’ultimo descriveva l’incredibile carneficina di ebrei cui aveva assistito durante un suo soggiorno a Varsavia. Di questa conversazione Montini riferì al Segretario di Stato vaticano card. Luigi Maglione.


Ecco dunque la tesi di Wolf.

Nonostante fosse a conoscenza di ciò che stava accadendo a Varsavia e a Leopoli, Pio XII fece sapere al rappresentante americano Myron Taylor che il Vaticano non era in grado di confermare le notizie che Taylor aveva ricevuto da Ginevra.
 

Perché il Papa si comportò in questo modo? La risposta, ci spiega Wolf, risiede in un documento inedito che lui stesso ha scoperto nei famosi “cinque giorni in Vaticano”. Secondo Wolf tale documento prova che il suo autore, mons. Angelo Dell’Acqua, dopo aver esaminato le notizie portate da Taylor e studiate quelle inviate dall’arcivescovo di Leopoli Szeptyckyj, consigliò di non dar molto credito alle fonti ebraiche perché esageravano; ma di non credere neppure a quelle provenienti da Leopoli perché gli orientali non esano esattamente un esempio di onestà. A quest’incredulità Pio XII prestò fede, e di conseguenza egli decise di far rispondere all’ambasciatore Taylor che le sue notizie non potevano essere confermate.


Chiaro quindi il mood? Pur avendo notizie certe sul massacro degli ebrei da mons. Szeptyckyj e dal Conte Malvezzi, il Papa non volle confermare le notizie di fonte ebraica in mano a Taylor perché un suo collaboratore lo aveva avvisato che le fonti ebraiche esageravano e quelle ucraine mentivano.

Ma Wolf non si è limitato a ciò. Per amplificare la portata della sua “scoperta”, ha affermato che il promemoria di mons. Dell’Acqua non fu inserito nella raccolta ufficiale di undici volumi degli Actes et Documents du Saint-Siège, perché quel documento avrebbe potuto mettere in imbarazzo il Vaticano, provando che Pio XII, pur sapendo da fonti riservate del massacro degli ebrei, nascose agli americani (e, per estensione, agli Alleati) le fonti che aveva. Wolf su questo è inesorabile: per lui il promemoria inedito di Dell’Acqua «è un documento-chiave che ci è stato tenuto nascosto perché è chiaramente anti-semita e dimostra perché Pio XII non parlò chiaramente contro l’Olocausto […]. Ecco perché dobbiamo essere scettici sull’intera serie di undici volumi [degli ADSS] e controllare l’archivio documento per documento», dal momento che «gli undici volumi rompono il contesto in cui i documenti sono stati trovati nell’archivio. Con l’effetto che non si riesce più a capire come si collegano l’un l’altro».
 

3. L’infondatezza della tesi di Wolf

Chi scrive è uno dei pochi storici al mondo ad aver avuto accesso, esattamente come Wolf, agli archivi su Pio XII il giorno stesso della loro apertura, il 2 marzo 2020. Insieme a Wolf e ad altri colleghi abbiamo sperimentato l’emozione da primo giorno di scuola di fronte alla nuova stagione di studi che finalmente si apriva con l’apertura delle carte sul pontificato pacelliano. Emozione, come si diceva, bruscamente interrotta dalla pandemia mondiale.

Per questa ragione non ci è stato difficile riscontrare tutte le debolezze della tesi di Wolf e soprattutto della sua metodologia, dato che le massime verità storiche non si conquistano in soli cinque giorni. E’ tutto l’impianto della ricostruzione di Wolf che presta il fianco a critiche anche da parte di un non “addetto ai lavori”. Cercheremo di sintetizzare tali critiche nelle righe che seguono.

La prima questione riguarda ovviamente il memoriale inedito di mons. Dell’Acqua. Ammettendo e non concedendo che quel documento dica proprio ciò che Wolf vuol fargli dire; e ammettendo e non concedendo che esso sveli nel suo autore un perfido antisemita, la tesi di Wolf ha un primo punto debole: monsignor Angelo Dell’Acqua era un minutante, ossia al primo gradino della carriera diplomatica vaticana, ed era in servizio alla prima Sezione della Segreteria di Stato. Ne consegue che ogni suo promemoria doveva passare il filtro dei superiori (in particolare di mons. Domenico Tardini). Cosa vogliamo dire con ciò? Che negli archivi non c’è prova di un rapporto di causa-effetto tra il promemoria di Dell’Acqua e la decisione finale del Papa di non confermare le informazioni in mano a Taylor. In altre parole, non ci sono prove (tantomeno nel dossier che ospita il documento incriminato) del fatto che le opinioni di Pio XII siano state condizionate da quelle di un minutante della Segreteria di Stato, avallate dai diretti superiori.

Il secondo punto debole (anzi debolissimo) della tesi di Wolf è il seguente: se è vero che il promemoria di Dell’Acqua era talmente antisemita e talmente imbarazzante da non poter essere pubblicato nella raccolta ufficiale vaticana degli ADSS, come mai Wolf l’ha trovato negli archivi? Come mai il Vaticano ha reso liberamente disponibile agli studiosi un documento così imbarazzante da compromettere la reputazione di Pio XII e da innescare l’ennesima polemica contro la sua memoria?

Ma il terzo punto debole è quello decisivo. Hubert Wolf ha citato male il promemoria inedito di mons. Dell’Acqua, che infatti non dice ciò che lui vuol fargli dire.

Il promemoria inedito di Dell’Acqua reca la data del 2 ottobre 1942 ed è conservato nell’Archivio Storico della Sezione Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana.
Ne riportiamo il testo integrale.


«2 ottobre 1942

Appunto

Le notizie contenute nella lettera dell’Ambasciatore Taylor sono gravissime, non v’è alcun dubbio. Occorre, però, assicurarsi che corrispondano a verità, perché l’esagerazione è facile anche fra gli ebrei. E non basta, secondo il mio umile parere, fondarsi sulle informazioni date dal Metropolita Ruteno-cattolico di Leopoli e dal Signor Malvezzi (anche gli Orientali non sono un esempio in fatto di sincerità).

Ma, dato anche che le notizie siano vere, converrà procedere con grande cautela nel confermarle al Signor Tittmann perché mi sembra di scorgere anche uno scopo politico (se non puramente politico)nella mossa del Governo Americano, il quale non mancherebbe forse di dare una pubblicità all’eventuale conferma della Santa Sede: il che potrebbe avere spiacevoli conseguenze non solo per la Santa Sede, ma per gli stessi ebrei che trovansi nelle mani dei tedeschi, i quali ne approfitterebbero per aggravare le misure odiose e barbare adottate nei loro confronti.
Conviene infine tener presente che la protesta dei Vescovi Francesi circa la deportazione degli ebrei (protesta che si pensa suggerita dalla S. Sede) è sufficiente per provare la disapprovazione della Chiesa cattolica per tali atti inumani: e gli anglo-americani non mancarono e non mancano di trarre profitto da siffatta protesta.
Si potrebbe sentire il Nunzio a Berlino: ma che cosa potrà dire di certo anche lui, poveretto!».

[Archivio Storico della Sezione Rapporti con gli Stati, "Pio XII", Affari Ecclesistici Straordinari, Extracta, Germania, Pos. 742, f. 25]. 


In sintesi, Dell’Acqua non consigliava di tener segrete le informazioni in mano alla Santa Sede, ma piuttosto di «confermarle al signor Tittman» (“vice” di Taylor) con le debite cautele circa la loro non verificabilità e possibile inaccuratezza. L’altra cosa da sottolineare è che, a differenza di quanto fa credere Wolf, questo non è «un documento-chiave che ci è stato tenuto nascosto perché è chiaramente anti-semita». Al contrario, come abbiamo visto citando il promemoria e tralasciando le serial quotations di Wolf, nel suo scritto mons. Dell’Acqua si preoccupava delle spiacevoli conseguenze che la conferma ufficiale di informazioni non verificabili avrebbe potuto avere, non solo per la Santa Sede «ma per gli stessi ebrei che trovansi nelle mani dei tedeschi, i quali ne approfitterebbero per aggravare le misure odiose e barbare adottate nei loro confronti».
Non solo. Ma citando integralmente il documento si evince che la Segreteria di Stato aveva ben presente «la protesta dei Vescovi Francesi circa la deportazione degli ebrei» che si voleva suggerita dalla Santa Sede; Dell'Acqua non smentiva questa circostanza, ma anzi scriveva che questa protesta era «sufficiente per provare la disapprovazione della Chiesa cattolica per tali atti inumani». In pratica, Dell'Acqua dava per scontato che la Chiesa cattolica disapprovava le odiose e barbare misure antiebraiche adottate dai nazisti.
Che cosa si poteva fare per sapere di più di queste barbarie? Chiedere notizie al nunzio apostolico a Berlino Orsenigo? Ma anche lui, che cosa avrebbe potuto comunicare, visto l'isolamento informativo in cui operava, soprattutto considerato il fatto che, non essendoci più una nunziatura apostolica a Varsavia, a lui i nazisti avevano impedito di recarsi in Polonia per coordinare le comunicazioni tra i Vescovi polacchi e la Santa Sede.   


Abbiamo dunque citato integralmente l'appunto di Dell'Acqua. E ci chiediamo come si possa sostenere (lo fa Hubert Wolf) che monsignor Dell’Acqua era un antisemita, e che il suo promemoria non fu pubblicato a suo tempo proprio perché antisemita?


Come vedremo poco oltre, Dell’Acqua aveva ragione a dubitare delle fonti ebraiche e orientali, ma non per quello che crede Wolf. Era convinzione comune fra gli Alleati, fra i Paesi neutrali e «anche fra gli Ebrei» che fosse facile l’esagerazione delle notizie ricevute. Ed era diffusa anche l’idea che le fonti provenienti da est non sempre fossero sincere o veritiere; ma questo non perché Dell’Acqua ritenesse che l’arcivescovo di Leopoli fosse insincero, quanto perché, anche in questo caso, neppure le notizie da lui ricevute erano verificabili.

Com’è apparso subito chiaro agli storici nel corso dell’ultimo ventennio (che ha visto l’apertura delle carte di alcuni servizi segreti), le fonti sullo sterminio ebraico non erano facilmente verificabili e in generale erano ritenute inaffidabili se non confortate da prove. In un tale contesto vanno collocate le note di mons. Dell’Acqua sulla qualità delle fonti ebraiche e orientali. E poi c’era il conte Malvezzi, altra fonte personale di Montini. Anche le notizie di Malvezzi andavano soggette a verifica. Il Conte non faceva eccezione per il semplice fatto di essere l’amico di un futuro papa.

Comunque la si voglia pensare, la conclusione certa è che, alla luce della citazione esatta del documento inedito di Dell’Acqua, cade rovinosamente la tesi di Hubert Wolf. Dell’Acqua non era antisemita. Acclarato ciò, ne consegue che il suo memorandum restò inedito per ragioni del tutto estranee al suo presunto antisemitismo e al desiderio del Vaticano di non compromettersi. Tanto che, come si è visto, il documento non è stato sottratto dalla Curia romana alla consultazione degli studiosi.

Aggiungeremmo a questa storia anche un’osservazione dettata da quella pietas di cui canta il poeta Virgilio.

Anche se la ricerca è libera, gli storici dovrebbero pur sempre ricordare che i diritti umani non cessano di essere diritti alla morte degli umani; essi non si prescrivono trascorso che sia un dato lasso di tempo. Nella fattispecie, a mons. Dell’Acqua andrebbe restituito da Hubert Wolf quel rispetto dovuto a chi è stato calunniato post mortem sostenendo che fosse antisemita; e ciò sulla base d’un documento letto male, citato ad usum, e che prova l’esatto contrario!
 


4. Ulteriori considerazioni sull’infondatezza della tesi di Wolf


Per aiutare il lettore a comprendere la vicenda, faremo il paragone delle matrioske. La vicenda che trattiamo è infatti un gioco di bambole russe in cui una ne contiene un’altra e la più grande le contiene tutte.

Tutto parte da un promemoria dell’Agenzia ebraica per la Palestina, che nel 1942 aveva sede a Ginevra. L’agenzia aveva raccolto una serie di notizie su quello che stava accadendo agli ebrei in Polonia e nell’Ucraina sotto occupazione tedesca. Raccolte queste notizie, i funzionari dell’Agenzia ebraica le avevano ordinate in un promemoria, tenendo distinte le fonti. Redatto infine un promemoria, questo era stato trasmesso agli Alleati. Il Presidente Roosevelt lo aveva fatto poi avere a Myron Taylor, suo rappresentante presso il Papa, desiderando da Pio XII un riscontro sulla fondatezza delle notizie da Ginevra.

Myron Taylor inserì il documento ebraico in un suo promemoria che portò personalmente in Segreteria di Stato, il 27 settembre 1942. Il Cardinal Maglione era assente, ma il documento di Taylor fu immediatamente sottoposto all’attenzione di Pio XII. Maglione lo vide il giorno dopo e chiese ai collaboratori: «Non credo che abbiamo informazioni che confermano – in particolare – queste gravissime notizie. Non è così?». Una nota anonima, il 30 settembre 1942, aggiunse: «Ci sono quelle del Sig. Malvezzi» (ADSS. vol. 8, doc. 493).
Malvezzi, come si è detto, era un funzionario dell’IRI in stretto contatto con mons. Montini. Il 18 settembre 1942 i due si erano incontrati e così il futuro Paolo VI aveva riassunto il loro colloquio: «…Vi sono in queste ultime settimane due fatti gravi da notare: i bombardamenti delle città polacche da parte dei russi e i massacri sistematici degli ebrei… I massacri degli ebrei hanno raggiunto proporzioni e forme esecrande spaventose. Incredibili eccidi sono operati ogni giorno; pare che per la metà di ottobre si vogliono vuotare interi ghetti di centinaia di migliaia di infelici languenti per far posto ai Polacchi, che sono sloggiati dalle loro case, ove tedeschi rimasti in Germania senza tetto a causa della guerra vengono trasportati…»[1].

Sulla base delle informazioni che aveva a disposizione, possiamo affermare che il Vaticano era in grado di confermare le notizie dell’agenzia ebraica a Ginevra, così come riportate da Myron Taylor? A tale domanda dobbiamo rispondere negativamente, perché proprio le informazioni ebraiche non davano esattamente il quadro della situazione.


Guardiamo il promemoria di Myron Taylor del 27 settembre 1942. Ritornando all’esempio delle matrioske, esso conteneva una lettera dell’Agenzia ebraica per la Palestina, datata 30 agosto 1942. A sua volta, questa lettera sintetizzava un rapporto proveniente da «due affidabili testimoni oculari (ariani), uno dei quali giunse dalla Polonia il 14 agosto».

La prima considerazione da fare è dunque che il Governo americano aveva bisogno di verificare comunque le notizie di stermini provenienti da quei due “ariani” che gli ebrei di Ginevra pur consideravano persone degne di fede, perché testimoni oculari.

In effetti, nonostante ci fossero due testimoni oculari, le informazioni raccolte dall’Agenzia ebraica per la Palestina di Ginevra non erano ritenute affidabili dagli americani. Se  studiamo attentamente il documento, notiamo che molte delle informazioni in esso contenute non erano verificabili o non erano accurate. Per esempio, il memorandum diceva che tutti gli ebrei del Ghetto di Varsavia erano liquidati. Ovviamente ciò non era vero, non solo se consideriamo tutta la storia della ribellione del Ghetto di Varsavia, ma anche se teniamo presente che Himmler ordinò la liquidazione di tutti i ghetti nei territori orientali a partire dal 21 giugno 1943[2].
Inoltre, nel documento dell’Agenzia ebraica per la Palestina non si riusciva a capire se i massacri avessero avuto luogo a Varsavia o a Belzek e a Lemberg, dove sembrava fossero stati uccisi cinquantamila ebrei. Dopo poche righe, infatti, lo stesso documento ne racchiudeva un altro in cui si sosteneva che in effetti i massacri erano stati perpetrati nella stessa Varsavia, e che centomila ebrei erano stati uccisi. L’Agenzia ebraica per la Palestina aggiungeva inoltre: «Non c’è neppure un ebreo rimasto vivo nell’intero distretto a est della Polonia, inclusa la Russia occupata»
[3].


Tali informazioni erano dunque non verificabili. Non solo i luoghi in cui i massacri erano avvenuti non corrispondevano nelle stesse fonti in mano all’Agenzia ebraica; ma neppure era vero che all’agosto del 1942 non fosse rimasto vivo un solo ebreo nei distretti a est della Polonia. Infatti, il solo ghetto di Lviv non sarebbe stato liquidato che nel giugno 1943; nel maggio di quell’anno vi risiedevano ancora 12000 abitanti fra quelli regolarmente registrati. Altri 5000 ebrei, 3000 della via Janowska e altri 2000 ai lavori forzati per la costruzione della Ostbahn, sarebbero stati liquidati nel novembre del 1943. Quando i sovietici entrarono in Lviv, gli ebrei sopravvissuti erano 200-300. Ma per contro, nel novembre del 1944 un comitato ebraico stimò a 2500 persone gli ebrei allora presenti a Lviv
[4].


In questo gioco di matrioske in cui fonti ariane informavano fonti ebraiche, le quali a loro volta inoltravano i messaggi ad altre fonti ebraiche che li “rifischiavano” a fonti americane, che a loro volta chiedevano conferma al Vaticano; ecco, in tutto questo gioco nulla era più certo dell’incertezza.

Ma se il Vaticano non era in grado di confermare fonti già di per sé contraddittorie e incerte, ciò non vuol dire che Pio XII desiderasse tenere all’oscuro gli americani delle sue fonti peraltro anch’esse incerte e non verificabili. Anzi, se Hubert Wolf avesse seguito la vicenda fino alla fine, non limitandosi a poche “citazioni seriali”, avrebbe scoperto che Pio XII agì nei confronti di Myron Taylor nel modo seguente: «Preparare un breve appunto nel quale si dice, in sostanza, che la S. Sede ha avuto notizie di trattamenti severi contro gli ebrei. Essa non ha però potuto controllare l’esattezza di tutte le notizie ricevute. La stessa S. Sede non ha mancato d’altra parte di intervenire a favore degli ebrei ogni qual volta se le è presentata la possibilità»[5].


La nota in questione fu preparata e consegnata a Tittman il 10 ottobre 1942. Essa diceva: «Con riferimento alla pregiata lettera in data 26 settembre pp. con la quale Sua Eccellenza il signor ambasciatore Myron Taylor portava cortesemente a conoscenza della Segreteria di Stato di Sua Santità un memorandum pervenuto al Governo americano circa il trattamento fatto agli ebrei, la stessa Segreteria di Stato si pregia di comunicare che anche da altre fonti sono pervenute alla Santa Sede notizie di severi provvedimenti presi nei confronti dei non ariani. Di tali notizie, però, non è stato finora possibile alla Santa Sede di controllare l’esattezza. Essa, tuttavia, com’è risaputo, si è valsa di tutte le possibilità che Le si sono offerte per mitigare le sofferenze dei non ariani»
[6].
Tittmann informò, via Berna, Washington. «Mi dispiace che la Santa Sede non abbia potuto essere di maggior aiuto ma era evidente dall’attitudine del Cardinale che non aveva suggerimenti pratici da sottoporre. Penso ci sia probabilmente il convincimento che vi sia scarsa speranza di verificare le barbarie naziste con metodi diversi da quello di una forza fisica che giunga dall’esterno»
[7].

Ecco dunque smentita un’altra tesi di Wolf: gli americani non furono affatto tenuti all’oscuro delle informazioni giunte in Vaticano sui massacri di Ebrei in Polonia e in Ucraina. La Santa Sede tuttavia doveva confessare di non aver potuto «controllare l’esattezza» delle notizie ricevute.


5. Pio XII, gli Alleati e l’ «incredibile storia» delle camere a gas


Pio XII non aveva dunque notizie più certe e più verificabili sui massacri di ebrei rispetto a quelle che circolavano in Europa. Se ne vogliamo prova ulteriore, prendiamo il caso del famoso “memorandum Riegner”.

Gerhart Riegner, un avvocato tedesco emigrato in Svizzera a causa delle leggi antisemite tedesche, nel corso della guerra era diventato un alto funzionario della sezione ginevrina del World Jewish Congress. Riegner è diventato famoso per il suo memorandum dell’8 agosto 1942, che nelle sue intenzioni sarebbe dovuto giungere agli ebrei inglesi e americani. Il promemoria conteneva delle tragiche notizie sulla sorte degli ebrei europei che Riegner aveva ricevuto dall’industriale tedesco Edward Schulte and da altre fonti.

Il “dispaccio Riegner” (inoltrato a Londra dalla legazione britannica a Berna) diceva: «Nel quartier generale di Hitler è stato discusso ed è allo studio un piano in base al quale tutti gli ebrei nei Paesi occupati o controllati dalla Germania, che ammontano a una cifra di tre milioni e mezzo, dovrebbero, dopo la deportazione e il concentramento a est, essere sterminati in un colpo solo al fine di risolvere, una volta per tutte, la questione ebraica in Europa». Riegner aggiungeva che l’azione sarebbe stata «progettata per l’autunno» e che «i modi di esecuzione erano (corsivo nostro) ancora oggetto di discussione, incluso l’uso di acido prussico». «Trasmettiamo queste informazioni – concludeva Riegner – con tutte le necessarie riserve dal momento che non abbiamo potuto confermare la loro esattezza», anche se «ci è stato riferito che il nostro informatore ha stretti collegamenti con le massime autorità tedesche, e i suoi rapporti sono in linea generale affidabili»[8].


L’inserimento di un’avvertenza alla fine del messaggio, di accogliere le notizie con «le necessarie riserve» in assenza di loro conferma, fu chiesto a Riegner dal suo diretto superiore al World Jewish Congress, il giurista internazionalista Paul Guggenheim, il quale ordinò a Riegner di cancellare dal promemoria la menzione di un enorme forno crematorio già approntato per lo sterminio, e di inserire l’avvertenza che non era stato possibile verificare la fondatezza delle notizie trasmesse.

Noi oggi sappiamo che i servizi segreti alleati cercarono di bloccare con ogni mezzo la diffusione del “dispaccio Riegner”, al quale non volevano prestare la minima fede per le cose incredibili che esso narrava. Ma c’è di più: in strano sincronismo con il memorandum dell’Agenzia ebraica per la Palestina inviato da Taylor in Vaticano, nel settembre del 1942 nientemeno che il presidente dell’American Jewish Congress confessò di nutrire molti dubbi sull’affidabilità del “dispaccio Riegner” (che intanto aveva raggiunto le comunità ebraiche anglosassoni)[9]. In effetti, «i funzionari della Divisione Europa e gli specialisti nel campo dei rifugiati non tennero in considerazione questo telegramma e il Dipartimento di Stato rifiutò di trasmetterlo al Rabbino Stephen Wise, presidente dell’American Jewish Congress». Detto in altri termini, il Dipartimento di Stato considerava le informazioni di Riegner come il frutto di «voci incontrollate ispirate da paure ebraiche»[10].

Ne consegue che anche una delle fonti più affidabili sull’Olocausto, il ”Dispaccio Riegner” proveniente dal World Jewish Congress di Ginevra, era ritenuto un insieme di notizie non verificate che era meglio celare del tutto o che, in caso di loro diffusione, andavano accompagnate da tante avvertenze circa la loro non verificabilità.


Quanto fosse difficile agli ebrei europei diffondere fra gli Alleati ogni dettaglio della tragedia che stavano vivendo, emerge anche dai documenti americani. Nell’estate del 1943 gli Alleati erano in procinto di preparare una dichiarazione sulle atrocità naziste in Polonia. C’era già stata la dichiarazione interalleata del 17 dicembre 1942, ma evidentemente le organizzazioni internazionali ebraiche non la ritenevano sufficiente, dato che stavano insistendo per una nuova dichiarazione. Ebbene, mentre a Washington si stava preparando il testo di questa dichiarazione, giunse da Londra la seguente notizia: «Su suggerimento del Governo britannico, che afferma non esserci prove sufficienti per giustificare una dichiarazione circa l’esecuzione nelle camere a gas, è stato concordato di eliminare l’ultima frase del paragrafo secondo della Dichiarazione sui crimini tedeschi in Polonia da “dove” a “camere a gas”, così lasciando terminare il secondo paragrafo con “campi di concentramento”. Preghiamo d’informare del cambiamento di testo il Commissariato per gli Affari Esteri»
[11].


Di conseguenza il testo finale della Dichiarazione sui crimini di guerra tedeschi in Polonia firmata da Stati Uniti e Gran Bretagna, rilasciata il 30 agosto 1943 e pubblicata nella raccolta ufficiale del Dipartimento di Stato americano (Department of State, Bulletin, September 4, 1943, vol. IX, n. 219, Publication 1988, p. 150), omise ogni menzione delle camere a gas, dato che la loro esistenza non poteva essere dimostrata. Non per questo, tuttavia, gli alleati furono mai accusati di “silenzio” di fronte alle camere a gas e ai forni crematori, tantomeno di fronte ai crimini nazisti in Polonia. L’omissione di ogni accenno alle camere a gas era effetto dell’impossibilità di verificare le informazioni su ciò che accadeva soprattutto nel Warthegau, quella parte di Polonia che Hitler voleva fosse il terreno di sperimentazione nel “nuovo ordine nazista”. Nonostante le insistenze degli ebrei di tutto il mondo, gli Alleati scelsero quindi di non diffondere informazioni che gli ebrei stavano facendo loro pervenire, dato che tali informazioni non potevano essere verificate; e fino a che non fossero state verificate.



6. La critica di Wolf alla serie edita dei documenti vaticani


Anche il giudizio di Hubert Wolf sulla serie dei documenti vaticani edita in undici volumi è ingiustamente liquidatorio: anzitutto perché Wolf parte dall’errato pregiudizio che il promemoria di Dell’Acqua non sia stato pubblicato perché di contenuto antisemita (il che però non spiega come mai la Curia vaticana lo abbia lasciato negli archivi alla libera consultazione degli studiosi); e poi perché è fuor di luogo affermare, sulla base di un errato presupposto, che occorre «essere scettici sull’intera serie degli undici volumi e controllare gli archivi documento per documento».

Saranno necessarie poche osservazioni metodologiche. In primo luogo, nessuna serie edita di documenti, pur riproducendo molto materiale archivistico reperito, riproduce un archivio nella sua interezza. Gli archivi rimangono archivi, mentre le serie edite riproducono molte carte ma non interamente gli archivi.


In secondo luogo, la pretesa di Wolf che si trascuri un’intera serie documentaria solo per la mancanza di qualche documento è del tutto priva di senso, perché un tale “difetto” accomuna praticamente tutte le serie documentarie. Quale serie documentaria potrebbe mai resistere a una contestazione del genere? Molte serie documentarie pubblicate in vari Paesi del mondo risalgono agli anni Cinquanta, e in molte di esse mancano documenti che gli archivi hanno svelato solo in un secondo momento, dopo opportuni riordinamenti delle carte. Inoltre, il lavoro editoriale si è affinato col tempo, anche a motivo degli importanti cambiamenti degli ultimi anni, grazie alla digitalizzazione. In altre parole, nessun lavoro editoriale sulle serie documentarie è esempio di perfezione. Dov’è dunque il problema?


In particolare, la serie degli ADSS nacque in una particolare circostanza, ossia quando scoppiò la querelle sul “silenzio di Pio XII” con il libro di Saul Friedländer che pubblicava per la prima volta documenti tratti dagli archivi tedeschi
[12]. Fu Paolo VI a ordinare pertanto a quattro gesuiti di preparare una serie documentaria, ma ciò fu fatto praticamente in un caos archivistico in cui all’epoca (metà degli anni Sessanta) versavano le carte su Pio XII. Pur con tutto ciò, la serie degli ADSS si rivelò molto interessante, piena di documenti che non erano solo di fonte vaticana ma anche provenienti da altri Stati e da varie agenzie internazionali. Per i tempi e per le circostanze in cui nacque, la serie degli ADSS consentì comunque agli studiosi di avere impressioni di prima mano sulle linee generali della diplomazia vaticana durante la seconda guerra mondiale. In breve, anche oggi la serie degli ADSS merita il posto di rilievo fra le più importanti collezioni documentarie esistenti al mondo per il periodo della seconda guerra mondiale.



7. Concludendo…


Trovare la verità negli archivi storici è qualcosa di molto più complesso che entrarvi per soli cinque giorni con la pretesa di avervi fatto cruciali scoperte, così come Hubert Wolf ha preteso. Nessuno potrebbe seriamente affermare di aver costruito solide verità storiche stando in un archivio mai visto prima per soli cinque giorni (anzi quattro, se escludiamo il primo giorno impiegato nelle pratiche di rito); prima che quest’archivio fosse chiuso a causa del coronavirus.

Eppure la storia di Hubert Wolf è stata presentata sui media quasi che una pattuglia di ricercatori avesse invaso gli archivi vaticani esattamente come le divisioni naziste fecero in Polonia. Ovviamente, la verità storica è qualcosa di differente, di più complesso, di più affascinante e, ciò che più conta, richiede pazienza, dedizione, coraggio e adeguate capacità di ricerca.

Speriamo che il tempo che verrà dopo il coronavirus ci restituisca tutto questo.
 

(*) Professor of International History, Diplomacy and International Relations at the University of Molise, Italy. International Delegate of the Pontifical Committee of Historical Sciences, Vatican City.

[1] ADSS, vol. 8, nota 2 alle pp. 665-666.

[2] Cfr. A. Polonsky, The Jews in Polonia and Russia, vol. III: 1924 to 2008, Oxford, Portland OR, The Littman Library of Jewish Civilization, 2012, pp. 516-517.

[3] Foreign Relations of the United States, Diplomatic papers, 1942, Europe 1942, vol. III, pp. 775-776.

[4] Cfr. A. Polonsky, The Jews in Polonia and Russia, vol. III: 1924 to 2008, cit., pp. 497-498.

[5] Appunto del 6 ottobre 1942, ADSS, vol. 8, doc. 496.

[6] La Segreteria di Stato di Sua Santità all’incaricato d’affari americano Tittmann, 10 ottobre 1942, ADSS, vol. 8, doc. 507.

[7] Il Ministro a Berna Harrison al Segretario di Stato americano (“rifischiando” il dispaccio di Tittmann dal Vaticano del 10 ottobre 1942), 16 ottobre 1942, FRUS, 1942, vol. III, Europe, cit., pp. 777-778.

[8] Public Record Office, Kew, UK, FO 371/30917.

[9] R. Breitman, Official Secrets: What the Nazis Planned, What the British and Americans Knew, Washington DC, 1999, p. 144.

[10] R. Breitman, N.J.W. Goda, T. Naftali and R. Wolfe, US Intelligence and the Nazis, Cambridge 2005, p. 26; cfr. anche R. Breitman, A. Lichtman, FDR and the Jews, Belknap Press 2013, p. 199 ss.

[11] Il Segretario di Stato americano all’ambasciatore americano a Mosca, Standley, 30 agosto 1943, FRUS, 1943, III. pp. 416-417.

[12] S. Friedländer, Pie XII et le III Reich: documents, Paris: Éditions du Seuil, 1964.