Il gesuita che inventò l'elicottero- THE VATICAN FILES.NET - Storia - Testi - Documenti

Il gesuita che inventò l'elicottero negli anni '30

DALLE CARTE DELLA SCRIVANIA DI PIO XI
 
Nel 1936 l’ingegnere inglese James Allan Jamieson Bennett, capoprogetto della Cierva Autogiro Company, progetta un rotore che egli chiama "gyrodyne", e che propone in produzione al Governo britannico. Tre anni dopo ottiene il brevetto dallo UK Patent Office, brevetto intestato alla Cierva Autogiro Company. Il 23 agosto 1940, la Autogiro Company of America, spin-off della Cierva Autogiro Company, Ltd., fa domanda per un corrispondente brevetto negli Stati Uniti, concesso il 27 aprile 1943 alla costola americana della Autogiro con il n. 2.317.340. Il brevetto è relativo a un «aeromobile ad ala rotante, d’ora in avanti denominato “gyrodyne”».
L’invenzione avrà poi gli sviluppi e il successo che tutti conosciamo.
Ma perché raccontiamo questa storia? La raccontiamo perché le carte trovate sulla scrivania di Pio XI alla sua morte (e a suo tempo non inventariate nella prima apertura archivistica del 2003, quando si aprirono le carte del Pontificato di Papa Ratti), raccontano una storia a suo modo diversa e affascinante.
Il 24 settembre 1930, dalla Pontificia Università Gregoriana parte una lettera diretta a papa Pio XI. A scriverla non è uno qualunque. E’ il gesuita padre Pio Scatizzi: professore della Pontificia Università Gregoriana; astronomo consocio della Società Astronomica Italiana (che nel suo bollettino ne ricordò la scomparsa, il 5 aprile 1956); corrispondente dell’Accademia Pontificia delle Scienze; matematico, e autore di libri come Soluzione di qualche tipo di equazione differenziale ad indice qualunque,
L’oggetto della lettera del padre Scatizzi è il progetto di “giroplano-elicoplano”, che il gesuita vorrebbe illustrare al Papa. Si tratta insomma del primo progetto di elicottero.
Il Padre Scatizzi sa che è imminente il primo Congresso di diritto aeronautico, convocato a Budapest, cui il Vaticano prevede di partecipare con un suo rappresentante, l’avvocato Angelini. Al gesuita pare quindi opportuna l’occasione per illustrare al Papa le qualità della sua invenzione. Si tratta di «un apparecchio da volo che, oltre alla sicurezza, cambia totalmente il vecchio sistema». Dopo tre anni di sperimentazione nei laboratori di aerodinamica di Roma e di Torino, la Società milanese Breda ha accettato di costruire la nuova invenzione, dato che il Governo italiano ha stanziato la somma di mezzo milione di lire per il varo del prototipo sperimentale.

«Il giroplano – scrive Scatizzi al papa – gode della rara proprietà di levarsi in volo sulla verticale del luogo, ridiscenderne o fermarsi a mezz’aria, o, per lo scambio delle merci e della posta anche ad un metro da terra, quindi velocemente ripartirne. Oltreché è immune dall’avvitamento, così funesto, dallo slittamento d’ala, dalla caduta a piombo, anche se, in qualunque assetto viene sorpreso da una panne del motore.»
Padre Scatizzi prefigurava le modifiche che la sua invenzione avrebbe apportato al diritto aeronautico.
«Infatti, per esempio, i campi di atterraggio potranno essere ridotti a 50 mq invece di qualche chilometro q[uadrato], mentre la loro ubicazione, così presentemente lontana quale il Littorio a Roma, il Flügafen [sic] di Berlino, il Burget di Parigi, potranno essere accolti nel centro della città, come una stazione ferroviaria qualunque. Non andrà esente di modificazioni giuridiche il fatto di potere, con questo apparecchio, levarsi in volo sui terrazzi delle case e ridiscenderne a proprio bell’agio».
Sarebbero certamente state necessarie apposite segnalazioni agli edifici, e si sarebbero altresì dovuti interrare i cavi telefonici e telegrafici.
«Chi può prevedere tutte le conseguenze del giroplano già in via di realizzazione? Comunque, mi pare opportuno che tutto ciò si faccia presente in un primo congresso del genere, e credo anche riescirebbe elegante e simpatico che nel suo primo affacciarsi, il Vaticano, proprio egli, portasse questa nota storica di originalità e progresso!»
Di conseguenza il Padre Scatizzi chiedeva al Papa il consenso di poter accompagnare alla Conferenza di Budapest il delegato vaticano Angelini, anche per poter eventualmente integrare le questioni giuridiche con quelle tecniche.
«Il Governo Italiano – egli commentava – manda ben sei uomini. Insomma intenderei presentarmi al Congresso e far presente questa imminente realizzazione e trasformazione, acciocché dopo tante fatiche di quest’anno, non si debba nel 1931 ricominciare daccapo. Di più, il Santo Padre non intravede in tutto questo, per il Giroplano in specie, uno sfondo di alta portata missionaria?»[1]
Padre Scatizzi non era un visionario. Il suo prototipo di elicottero era stato da lui proposto al Ministero dell’Aeronautica, che già il 28 marzo 1930 (con lettera prot. n. 2/7264) gli aveva proposto nientemeno che la stipula di un contratto per la fornitura di un esemplare di “Giroplano Scatizzi”. Ma a un certo punto Scatizzi tenne l’intera questione in sospeso tanto che il Colonnello Fiore, capo della Divisione Aeromobili del Ministero dell’Aeronautica (Direzione Generale delle Costruzioni e degli Approvvigionamenti), con una nuova lettera del 18 giugno 1930 dovette sollecitare il gesuita inventore a muoversi:
«Questo Ministero – gli scriveva Fiore – è sempre in attesa che la S.V. si presenti per gli accordi relativi alla stipulazione del contratto per la fornitura del Giroplano Scatizzi. Si gradirà ricevere un cortese cenno di comunicazione in proposito.»[2]

Forse si comprende la ragione per cui Scatizzi non si era ancora fatto vivo con il Ministero dell’Aeronautica. Solo il 21 giugno egli aveva inviato alla “Società Italiana Ernesto Breda per Costruzioni Meccaniche Anonima di Milano” i dati relativi al progetto di elicoplano che egli intendeva realizzare. La Breda, dal canto suo, aveva giudicato i dati forniti dal gesuita «veramente tali da giustificare il di Lei vivo desiderio di addivenire ad una pratica realizzazione costruttiva, al vero, dell’elicoplano stesso», il cui progetto la Breda quindi aveva preso molto sul serio.
Ma i tempi di realizzazione erano lunghi. L’Ufficio tecnico della Società era «assillato dallo svolgimento di altri importanti progetti», e non poteva al momento prenderne di nuovi. «Tuttavia – scrissero a Scatizzi il direttore e il procuratore della Sezione Prima della Breda, il 3 luglio 1930 – se il progetto del di Lei elicoplano fosse già stato in gran parte svolto, nel senso che esistesse una serie più o meno completa di disegni costruttivi, anche di dettaglio, sarebbe forse possibile che la nostra Ditta, previ opportuni e chiari accordi tra noi, si assumesse parimenti di effettuare la fornitura alla Regia Aeronautica di un primo esemplare. Qualora Ella fosse disposta ad entrare in questo ordine di idee, La pregheremmo di intendersi col nostro Ing. Parano, che Ella già conosce e che trovasi costì, perché possa prendere visione dei disegni sopra richiamati e riferirci in merito, dopo di che sarà nostra premura comunicarLe la nostra decisione definitiva circa la collaborazione che Ella si è compiaciuta di prospettarci.»[3]
Possiamo solo ipotizzare le ragioni dell’intoppo. Il Padre Scatizzi aveva fornito alla Breda i dati tecnici della sua invenzione, ma non i disegni dell’elicoplano, forse perché sperava in un brevetto che la Compagnia di Gesù avrebbe potuto finanziare (anni dopo, un caso simile si sarebbe verificato per un particolare tipo di cinture di sicurezza, inventato da un altro padre gesuita), e dunque pensava che non sarebbe stato prudente diffondere i suoi disegni prima del conseguito brevetto. La comparazione fra dati tecnici e disegni avrebbe infatti messo la Breda in grado di realizzare in serie l’elicoplano da sé in assenza di brevetto in capo al suo inventore, con intuibili effetti per le parti coinvolte, soprattutto in caso di successo del prototipo.
Va anche detto che un accordo ben programmato con la Breda avrebbe consentito di costruire un prototipo almeno dieci anni prima degli americani, dopo una sperimentazione sistematica e adeguata. Ma sono solo ipotesi, le nostre.
Del resto non sappiamo, allo stato dei fatti, quali condizioni la Breda intendesse proporre al padre Scatizzi, e se vi fu una trattativa successiva. Nella sua lettera al Papa del settembre 1930 il gesuita fa cenno alla disponibilità della Breda a costruire la sua invenzione e all’apposito stanziamento di cinquecentomila lire da parte del Regio Governo italiano. Quello che tuttavia è certo è che, a un certo momento, forse per ottenere dal Papa i fondi per il brevetto, Scatizzi intese trasformare il suo elicoplano in un “prodotto vaticano” da poter ufficialmente presentare alla prima Conferenza sul diritto aeronautico di Budapest, facendo del Vaticano (secondo le sue parole) il latore di una «nota storica di originalità e di progresso».
Al momento non ci è dato di sapere di più. Il Dottor Novara, della Breda Energia spa (filiazione diretta della Società Ernesto Breda), che qui ringraziamo, ci ha riferito che non esiste un archivio della Società; le relative carte sarebbero state acquisite dalla Finanziaria Breda Spa, che però non esiste più, mentre chi attualmente detiene la maggioranza del pacchetto societario non ha niente a che vedere con la famiglia originaria. Inoltre, nella Casa degli Scrittori della Curia generalizia della Compagnia di Gesù non esiste in “Fondo Padre Pio Scatizzi”, dato che la Pontificia Università Gregoriana non versa il suo archivio storico alla predetta Casa degli Scrittori.
La residua speranza dello storico poggia dunque sulla possibilità che l’Ateneo gregoriano abbia un suo archivio e che questo sia consultabile agli studiosi, secondo norme e prassi invalse.

 

NOTE
[1] Il P. Pio Scatizzi a Pio XI, 24 settembre 1930, l.p., Segreteria di Stato, Archivio Storico, Fondo Spogli, Scatole bianche di Pio XI-I, Pos. 5, ff. 154-157.
[2] Il Capo della Divisione Aeromobili, D.G. Costruzioni e Approvvigionamenti, Ministero dell’Aeronautica, 18 giugno 1930, prot. n. 2/8626, ivi, f. 160.
[3] La Sezione Prima della Società Ernesto Breda al Pa. Pio Scatizzi, Sesto San Giovanni (MI), 3 luglio 1930, n. 29954/1, ivi , ff. 158-159.

 
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