PIO XII: STORICI, GIUDICI E AVVOCATI- THE VATICAN FILES.NET - Storia - Testi - Documenti

PIO XII: STORICI, GIUDICI E AVVOCATI

Gli archivi su Pio XII. Carte, dibattiti, “difensori d’ufficio” e pandemie polemiche


di Matteo Luigi Napolitano


Nota editoriale

Avremmo preferito non rispondere a un articolo di Roberto Benedetti e Tommaso Dell'Era, di recente apparso sul portale dell'ebraismo italiano "Moked", in risposta a un nostro precedente articolo pubblicato sull'Osservatore Romano lo scorso 4 settembre, in merito alle nuove carte su Pio XII e alle nuove polemiche sollevate da alcuni studiosi.
Avremmo semmai volentieri riservato una replica a un'eventuale risposta di colui che, nel nostro articolo, era abbondantemente citato: l'antropologo e storico David I. Kertzer, le cui tesi discutevamo criticamente sull'Osservatore Romano.
Senonché il Premio Pulitzer David I. Kertzer ha affidato la sua replica al suo account di Twitter (@DavidKertzer), con un post in cui ha scritto che l'articolo di Benedetti e Dell'Era «smantella punto per punto...l'attacco [sic] lanciato dal quotidiano Vaticano» contro di lui.
Il post di Kertzer ci porta quindi a esercitare il nostro diritto di replica all'articolo di Benedetti e Dell'Era. E indirettamente a lui.


 

Introduzione


«Pio XII, il Vaticano contro Kertzer. Che cosa succede in Vaticano? Perché venerdì 4 settembre si è scelto di dedicare l’intera quarta pagina de L’Osservatore Romano – principale organo di stampa, anche se non ufficiale, della Santa Sede – ad una critica serrata di un articolo scritto qualche giorno prima dallo storico statunitense David I. Kertzer?».

L’ardente domanda è posta su Moked, il portale dell’ebraismo italiano, da due giovani abbacinati dal bagliore di lama delle prime armi con cui si avvicinano a un tema complesso e delicato come quello dell’apertura degli archivi vaticani su Pio XII.


Semplicemente è accaduto questo. Un autorevole quotidiano come L’Osservatore Romano ha risposto, con un articolo a nostra firma, a un’autorevole rivista, The Atlantic, in merito appunto a un “tema vaticano” su cui quindi, di default, il giornale vaticano non poteva tacere.
Era firmata per The Atlantic dall’antropologo e storico David I. Kertzer «un’anticipazione […] priva quindi del necessario apparato di note critiche e approfondimenti bibliografici e documentali», in cui i giudizi sull’antisemitismo della Curia di Pio XII erano piuttosto netti su entrambi i temi trattati nell’articolo: la mancata protesta vaticana di fronte alla deportazione degli ebrei; e il caso Finaly, quello relativo a due bambini ebrei francesi che erano stati battezzati e fatti emigrare in Spagna dalla tutrice per sottrarli alla legittima riconsegna ai parenti, essendo periti i genitori nei Lager.

Di fronte a tutto ciò, il quotidiano della Santa Sede ha affidato a chi scrive una replica sul tema che riguardava direttamente il Vaticano e la sua storia.


Perché, si chiedono stupefatti (absit iniuria verbis) i due giovani ricercatori, L’Osservatore Romano ha deciso «di non attendere la pubblicazione della versione finale del saggio»? Perché «affidare allo storico Matteo Luigi Napolitano una replica serrata già a questa versione giornalistica»?
Si potrebbe ribaltare la questione: perché il giornale vaticano avrebbe dovuto attendere di rispondere? Non aveva diritto di replicare con gli stessi strumenti dell’Atlantic: ossia con un articolo scritto da uno storico, anch’esso senza note e senza riferimenti bibliografici, che ne anticipa uno più lungo? Perché L’Osservatore Romano avrebbe dovuto subire una impār condicio restandosene in silenzio dopo un articolo che, pur senza note e senza riferimenti bibliografici, tuttavia aveva già avuto un impatto mediatico di prima grandezza, che ha trasformato quel breve saggio apparso su una diffusa rivista culturale in un inconfutabile saggio scientifico?

Come Benedetti e Dell’Era sanno benissimo, sul piano mediatico si “sta sulla palla”, si risponde con gli stessi strumenti e in tempi brevi. L’Osservatore Romano, parte integrante di un sistema mediatico e non da ieri, doveva rispondere a un articolo fatto passare ingiustamente come verbo incarnato della storiografia sulla Chiesa di Pio XII (com’è accaduto anche nel caso di Hubert Wolf, “gemello” di quello qui trattato).
Per quanto articolato nell’esposizione e (vedremo più oltre) errato nei suoi assunti e nel suo impianto di ricerca, in due giorni l’articolo di Kertzer aveva fatto il giro del mondo e fissato la sua pietra miliare sui “Papi contro gli ebrei”. L’Osservatore Romano ha fatto quindi semplicemente il suo lavoro: “stare sul pezzo” rispondendo alla polemica mediatica, scatenata da Kertzer contro Pio XII, per il tramite di un altro “addetto ai lavori”. Che doveva fare l’Osservatore? Starsene a guardare in silenzio?


 

Una difesa d’ufficio non richiesta


Benedetti e Dell’Era nel loro articolo su “Moked” assumono, non richiesti, una difesa d’ufficio di David Kertzer (che, sia chiaro!, non ha bisogno di difensori). E si chiedono da dove esattamente il sottoscritto deduca che per lo studioso americano «il silenzio di Pio XII determinò il triste destino degli ebrei nei Lager, condannando Pacelli ad una damnatio memoriae nei tempi a venire».

Se i due difensori d’ufficio avessero letto attentamente il saggio di Kertzer, si sarebbero accorti del seguente passaggio: «The horrors of the Holocaust were slow to move the Roman Catholic Church to consider its own history of anti-Semitism or the role it played in making the Nazis’ mass murder of European Jews possible». Quest’affermazione, letta nell’ordinaria successione e nell’ordinario senso dei termini adoperati, significa che per Kertzer Pio XII e la sua Chiesa giocarono un ruolo cruciale «nel rendere possibile lo stermino di massa nazista degli ebrei europei».
Non è questa una damnatio memoriae di Pio XII? Eppure Kertzer, nella sua produzione precedente, non si era spinto a tanto. Aveva sul punto dato prova di un’interpretazione ondeggiante, tentennante, “pendolare” fra antigiudaismo e antisemitismo, esitando a teorizzare chiaramente l’esistenza di una Chiesa pacelliana antisemita. Con questo saggio, invece, Kertzer è arrivato a questo punto. E il fatto che (dicono i suoi avvocati d’ufficio) lo abbia fatto senza note e senza bibliografica costituisce piuttosto un’aggravante, che peraltro giustifica la decisione dell’Osservatore Romano di rispondere (decisione presa, come s’immaginerà, dopo qualche giorno di profonda riflessione)


Ma non è tutto. Se i due giovani non richiesti avvocati d’ufficio di Kertzer avessero meglio studiato l’opera del loro “assistito”, si sarebbero accorti che una delle principali tesi di Kertzer è la seguente: «The Church played an important role in promulgating every one of these ideas that are central to modern anti-Semitism. Everyone of them had the support of the highest Church authorities, including the popes […]. Church was in fact involved in the development of racial thinking about Jews. [...] This helped prepare Catholics in the late nineteenth century and into the twentieth for further developments in racial thinking, some of which came into open conflict with Church teachings on the oneness of humankind»
[1].

Non è, questa dei «papi contro gli ebrei» e del «ruolo del Vaticano nell’avvento del moderno antisemitismo» fino a Giovanni XXIII, la roadmap di Kertzer? Non è una roadmap l’affermare, che «the role played by the Vatican in the development of the policies of discrimination and harassment that set the stage for the Holocaust are most clearly on display in those places where the Church's influence was greatest»?[2] Evidentemente Benedetti e Dell’Era conoscono un Kertzer che non c’è; o non conoscono un Kertzer che c’è.
 

Si può discettare quanto si vuole dell’inesistenza di una roadmap in Kertzer. Ma affermare, in un saggio senza note né riferimenti bibliografici, che il Vaticano ebbe un ruolo «nel render possibile lo sterminio di massa nazista degli ebrei europei»; affermare che Pio XII si circondava di un team antisemita (fra cui spicca mons. Angelo Dell’Acqua); e scrivere tutto ciò senza un documento che lo provi e dopo soli quaranta giorni di apertura effettiva degli archivi vaticani, che cos’è, se non una precisa roadmap che vuol portare gli studi sul tema in una precisa direzione?
I casi di Wolf e di Kertzer sono un parto gemellare di questa pandemia polemica; essi infatti affrontano guarda caso il tema dell’antisemitismo della curia di Pio XII (e in particolare di mons. Angelo Dell’Acqua, di cui parleremo poco oltre) con gli stessi strumenti e in una direzione univoca. Non è questa una roadmap?

Dalle colonne dell’Osservatore Romano noi abbiamo semplicemente rilevato che David Kertzer, sulla scia del tedesco Hubert Wolf, segue «la logora tesi del silenzio e dell’antisemitismo di Pio XII». Non è proprio Kertzer a intitolare un suo libro I Papi contro gli ebrei, spiegando nel sottotitolo che la sua tesi riguarda il «ruolo del Vaticano nell’avvento del moderno antisemitismo»? Non è Kertzer a scrivere: «As the evidence available not only from the various historical archives of the Vatican, but from Vatican-supervised publications of those years clearly demonstrates, the Vatican was in fact energetically involved in the rise of modern anti-Semitism in Europe, from its first appearance in the 1880s»?[3] E non è sempre Kertzer, in altro contesto, a ipotizzare il cosiddetto patto segreto tra Pio XI e Mussolini, consistente nell’appoggio alle leggi razziali del 1938 contro una pax ducis offerta ai cattolici italiani[4]?


 

Una difesa d’ufficio male istruita


Benedetti e Dell’Era attribuiscono poi a chi scrive l’obiettivo di «sminuire due documenti molto importanti citati da Kertzer ovvero una Nota verbale sulla situazione degli ebrei in Italia, stilata dal gesuita Pietro Tacchi Venturi, storico intermediario tra Santa Sede e regime, alla metà del mese di dicembre 1943 e un promemoria contenente le critiche che a questo documento vennero mosse il 20 dicembre da mons. Angelo Dell’Acqua, minutante della Segreteria di Stato. I due scritti vengono presentati da Kertzer come prova di una persistenza del pregiudizio antiebraico che caratterizza la cerchia dei più fidati collaboratori di Pio XII, prima, durante e dopo la guerra, e sono inseriti in un più ampio contesto storico – che arriva appunto fino alla vicenda dei fratelli Finaly e che li rende particolarmente difficili da metabolizzare».


Diamo anzitutto il giusto rilievo alle parole. Kertzer non parla di «persistenza di un pregiudizio antiebraico»; la sua roadmap, come si diceva, è ben delineata nel senso di una Chiesa che, da Pio XI a Pio XII, è antisemita, e non solo legata al pregiudizio antigiudaico.

Esattamente come nel “caso fotocopia” di Hubert Wolf (che ha preteso di fare la storia dell’antisemitismo della Chiesa di Pio XII dopo soli cinque giorni di apertura delle nuove carte; con un “effetto boomerang” ai suoi danni che era da attendersi), Kertzer vuole invece dimostrare, attraverso «memoranda steeped in anti-Semitic language», che l’antisemitismo pervadeva la schiera dei più stretti collaboratori di Pio XII, a cominciare da mons. Angelo Dell’Acqua. Kertzer intende dimostrare che questo antisemitismo pervadeva la Curia (a cominciare dal Sant’Uffizio). E ci informa che «the only complaint Pius XII made about Italy’s anti-Semitic laws was the unfairness of applying them to Jews who had converted to Catholicism».


Come si vede, questi sono giudizi che hanno l’aria di essere definitivi e inconfutabili; e Kertzer li presenta senza apparati critici di note e bibliografia (come ci informano i suoi giovani “legali”), ad appena una quarantina di giorni di apertura effettiva degli archivi vaticani. Non è, un tale approccio, offensivo di una metodologia storica che richiede anni di lavoro e di analisi, nonché comparazione di tutte le carte accessibili, prima di formulare giudizi definitivi su una questione così complessa come il Vaticano nella seconda guerra mondiale?

Dopo soli quaranta giorni di lavoro sulle carte (sempre ammesso che Kertzer e i suoi collaboratori li abbiano utilizzati proprio tutti), una metodologia seria può solo accendere qualche luce su possibili piste di ricerca, limitarsi a formulare ipotesi, proporre problematiche; non decretare, come Hubert Wolf prima e David I. Kertzer poi hanno fatto, l’antisemitismo dei collaboratori di Pio XII, e quindi del Papa (dato che Pio XII non vedeva intorno a sé collaboratori, ma solo esecutori del suo volere).
 

Ciò detto, veniamo al nucleo della “difesa d’ufficio” di Kertzer, imbastita dai suoi collaboratori. Il primo documento è un progetto di nota di padre Tacchi Venturi. Il secondo documento è un appunto di mons. Angelo Dell’Acqua. Il primo documento, della seconda metà del dicembre 1943, è intitolato Nota verbale sulla situazione ebraica in Italia. Il secondo è un commento al primo.
Scrivono i due “difensori” di Kertzer: «Il primo era stato in parte pubblicato negli Actes et Documents du Saint-Siège (per brevità: ADSS) sebbene in una versione pesantemente depurata, mentre Kertzer ne offre ora, in un’appendice all’articolo, la trascrizione integrale, in modo da facilitare il confronto con il testo edito nel nono volume degli Actes».


Innegabile il merito di Kertzer di averci consegnato il promemoria di Tacchi Venturi nella sua interezza. Ma è del tutto falso che i tagli redazionali della nota di Dell’Acqua, opera dei curatori degli ADSS, rivelino pesanti depurazioni e dolose volontà omissive

Per provarlo riproduciamo integralmente la proposta nota verbale di Tacchi Venturi, evidenziando in corsivo le parti già a suo tempo pubblicate in ADSS[5].


«La situazione ebraica in Italia non riveste carattere di eccezionale gravità come in altre Nazioni , sia per il numero limitato di ebrei residenti nel Regno, sia per il grandissimo numero dei matrimoni celebrati tra ebrei ed ariani, fenomeno che non si è verificato in nessun’altra Nazione.

Un vero sentimento di diffidenza verso gli ebrei, se si eccettua il piccolissimo gruppo di studiosi antiebraici, non è diffuso in Italia se non verso gli ebrei delle classi più umili, che esercitano i mestieri caratteristici del ghetto.

Infatti, prima della Legge razziale del 17 nov.1938-XVII, N.1728, risiedevano in Italia circa 45.000 ebrei nati in essa e cittadini italiani. Costoro però nel 1941, per le emigrazioni all'estero, già erano ridotti a circa 40.000, e al presente saranno appena 38.000 su 45 e più milioni di abitanti. Formano un tutto di circa 10.000 famiglie, delle quali 6820 sono famiglie miste, imparentate cioè con famiglie ariane, e :più specificatamente si hanno circa 4.000 ebrei coniugati con donne ariane e circa 2800 ebree coniugate con uomini ariani.

Vi è, quindi, un fenomeno di infiltrazione più spiccato di ebrei che, contrariamente al loro spirito razziale, hanno contratto matrimonio con donne ariane, e un minor numero di ariani, appartenenti in massima parte a classi sociali piuttosto elevate che hanno scelto a compagna della loro vita un’ebrea.

I frutti di tali matrimoni misti non rappresentano una grande attività demografica. Infatti, circa 2.200 di queste coppie miste sono sterili e le altre 4.600 hanno procreato circa 13.000 figli, dei quali solo un quarto furono avviati alla religione ebraica, laddove tre quarti ricevettero un indirizzo spirituale non ebraico, vennero cioè battezzati alla nascita ed educati nella pratica della religione cattolica. Conseguentemente divennero e sono figli della Chiesa la quale non può in modo alcuno disinteressarsi di loro, anzi è tenuta a curarli spiritualmente come suoi veri sudditi.

L'altissima percentuale dei matrimoni misti, spiega il fatto che in Italia non esiste un ambiente ariano decisamente ostile verso l'ambiente ebraico, che viene pacificamente tollerato, anche quando non passò al cristianesimo, ma conserva attaccamento alla sinagoga.

Se così non fosse non si potrebbe intendere come avanti la citata Legge del 17 nov. 1938 molti ebrei raggiungessero posizioni elevatissime, che ora hanno perduto, come parecchi di loro fossero nominati Senatori, come altri in gran numero s'imparentassero con famiglie distinte e nobili di pura stirpe ariana, come infine molti di essi prendessero parte alle guerre dell'indipendenza italiana e alla formazione del Regno d’Italia, ben meritando dell'una e dell'altra impresa e della Rivoluzione Fascista.

Tenendo presente questa fedele esposizione sul vero stato degli ebrei in Italia, esposizione attinta alle statistiche diligentemente compilate dalla Direzione Generale della Demografia e Razza, s'intende perché siano stati accolti molto sfavorevolmente e malamente giudicati dagli Italiani i recenti gravissimi provvedimenti delle Autorità Germaniche contro gli ebrei nati in Italia e forniti della cittadinanza italiana.

Niuno arriva a vedere quale mai pericolo essi potevano e possono costituire per la Germania e quale vantaggio le possa arrecare l'averli deportati fuori d'Italia e il trattenerli in miseri campi di concentramento o, tutti alla rinfusa, senza ombra di riguardo alle loro qualità sociali, della loro religione e via dicendo. Un simile procedimento offende non solo il buon senso del popolo italiano, il quale, riconoscendo le alti doti militari e di cultura del popolo tedesco, sentesi afflitto per vederlo adottare provvedimenti tanto contrari al suo carattere. Esso pensa che la Legge razziale sancita dal Governo Fascista contro gli ebrei cinque anni or sono, sia sufficiente per contenere l’infima minoranza ebraica dentro i giusti confini.

Le recenti misure adottate contro un minuscolo nucleo d’Israeliti e il modo ben duro col quale furono eseguite sembrò nato fatto per ricoprire di disdoro chi credette ordinarle.

Per queste considerazioni si nutre salda fiducia che il Governo Germanico voglia desistere dalle deportazioni di ebrei, sia da quelle fatte in massa, come avvenne lo scorso ottobre, sia da sia da quelle di singole persone, come corre voce si abbia intenzione di ripetere quanto prima.

Dovrebbe anche tenersi presente che in Italia con la citata legge razziale del 1938, rigorosamente osservata, fu già provveduto ai gravi indiscutibili inconvenienti causati dal giudaismo quando arrivi a dominare o a godere di molto credito in una nazione.

Ma poiché al presente ciò non avviene in Italia, non si comprende perché e quale necessità vi sia di ritornare sopra una questione che il Governo di Mussolini considerò già superata.

Se si rinnoveranno i duri provvedimenti contro la minima minoranza ebraica, che comprende un notevole numero di appartenenti alla religione cattolica, come potrà la Chiesa tacere senza commiserare altamente innanzi a tutto il mondo, la sorte di uomini e donne non colpevoli di alcun delitto, ai quali essa non potrebbe negare, senza venir meno alla sua divina missione, la sua compassione e tutte le sue cure materne?»
 

Anche un rapido raffronto fra il testo pubblicato da Kertzer e l’editio brevis pubblicata in una nota a piè pagina nel volume nono degli ADSS smentisce nettamente gli autonominatisi “avvocati d’ufficio” di Kertzer, secondo i quali la seconda è «una versione pesantemente depurata» del testo integrale.


«Pesantemente depurata», perché? Del testo integrale di Tacchi Venturi gli ADSS omettono le seguenti parti:
a) il risentimento italiano verso le classi ebraiche più umili;
b) i dati demografici aggiornati al 1941;
c) il «fenomeno d’infiltrazione» di ebrei che «contrariamente al loro spirito razziale» hanno sposato donne ariane, e di ariani che hanno sposato donne ebree (senza giudizi di valore);
d) i dati demografici su questi matrimoni (senza giudizi di valore), desunti dalle statistiche fornite dalle autorità italiane;
e) le elevatissime posizioni sociali raggiunte dagli ebrei italiani prima delle leggi razziali (senza giudizi di valore);
f) l’incomprensibile condotta delle autorità germaniche, che hanno iniziato a deportare gli ebrei italiani nei loro Lager, procedimento offensivo del popolo italiano il quale era affitto nel vedere quello tedesco «adottare provvedimenti contrari al suo carattere»;
g) il fatto che non era necessario deportare ebrei, dato che la Legge razziale fascista era sufficiente a contenere «l’infima [in senso numerico] minoranza ebraica dentro i giusti confini»;
h) l’ingiustizia delle misure adottate dai tedeschi contro gli ebrei, che avrebbero ricoperto «di disdoro chi credette ordinarle»;
i) la fiducia che il Governo germanico si decidesse a «desistere dalle deportazioni di ebrei»;
j) il non comprendere la determinazione dei tedeschi di voler «tornare su una questione che il Governo di Mussolini considerò già superata» con la legge del 1938, che aveva «provveduto ai gravi indiscutibili inconvenienti causati dal giudaismo»;
k) il fatto che la Chiesa cattolica non avrebbe potuto tacere se si fossero rinnovati «i duri provvedimenti contro la minima minoranza ebraica», ossia contro «uomini e donne non colpevoli di alcun delitto».


Da quanto sopra si evince che, per quanto imperfetti possano considerarsi, i tagli redazionali apportati dai curatori degli ADSS al progetto di Tacchi Venturi non sono né pesanti né dolosi. Infatti le omissioni riguardano anche punti in cui è chiara l’attenzione alle sorti degli ebrei europei due mesi dopo il tragico 16 ottobre 1943; e che quindi costituiscono una “prova a favore” della Curia vaticana. La necessaria tirannia di sintesi in una nota a piè di pagina, di conseguenza, non si spiega con l’aver omesso ad usum delphini parti “scomode” di un documento; come si è visto nella precedente sinossi.

 

Si potrebbe obiettare che l’antisemitismo di Tacchi Venturi sia svelato dalle sue parole sulla legge razziale fascista del 1938. Qui non si vuol negare che il gesuita fosse figlio del suo tempo (fra l’altro, un’intera generazione lo separa da monsignor Angelo Dell’Acqua, autore dell’altro documento di cui parleremo); né si vuol difendere l’antigiudaismo di una parte consistente della Chiesa italiana dell’Ottocento e del Novecento. Qui si vuol dire soltanto che le parole di Tacchi Venturi vanno inquadrate in un contesto.

Il progetto di nota verbale di Tacchi Venturi (che il suo autore già immaginava trasformata in un passo diplomatico ufficiale; tanto che ne fece preparare una versione in tedesco) doveva servire a convincere il governo italiano a resistere di fronte al ruolo invasivo dei nazisti, che non da ieri volevano metter becco negli affari riguardanti gli ebrei italiani (come peraltro si evince anche dai Documenti Diplomatici Italiani del tempo di guerra). Occorreva chiaramente, dopo il 16 ottobre 1943, che il gesuita puntasse a evidenziare agli occhi di Mussolini, con una sorta di pourboire diplomatico, la prevalenza della legge italiana del 1938 sull’interferenza nazista nelle faccende italiane. Non era, questo, un modo diplomatico per aiutare Mussolini (legato a Tacchi Venturi dalla comune memoria dei Patti Lateranensi) a riaffermare quel poco che restava della sovranità della Repubblica Sociale italiana, dopo l’otto settembre 1943?



La debole accusa contro gli Actes et Documents


Osservano poi, i non richiesti “legali d’ufficio” di Kertzer, che chi scrive «non può negare le evidenti differenze tra i testi editi e gli originali d’archivio, nel tentativo di svalutare la scoperta del collega statunitense giustifica la presenza di queste discordanze con un ragionamento farraginoso e capzioso, a tratti offensivo per la stessa tradizione archivistica vaticana».

Come si è spiegato poco sopra, i tagli editoriali nel documento di Tacchi Venturi, presenti negli ADSS, riguardano parti in cui si evidenzia anche l’attenzione del gesuita alla sorte degli ebrei italiani. Chiaramente, ciò doveva esser fatto presente a Mussolini da persona che lo conosceva bene con una captatio benevolentiae: ossia sottolineando il fatto che la legge razziale italiana del 1938 bastava e avanzava, e non giustificava le pratiche dei nazisti di voler a ogni costo deportare gli ebrei italiani nei loro Lager.


E veniamo ora al “caos archivistico” vaticano. La tesi di Kertzer, il quale anche suppone (esattamente come il suo collega Wolf) dolose omissioni negli ADSS, contrasta con i minimi elementi di tecnica archivistica.
E’ inconfutabile che, gli ADSS, esattamente come la serie settima dei Documenti Diplomatici Italiani, videro la luce in pieno “caos archivistico” vaticano, per rispondere alle prime polemiche sul “silenzio” di Pio XII; ed è indubbio che la situazione archivistica vaticana dell’inizio degli anni Sessanta non è neppure lontanamente paragonabile a quella del 2020. Sotto quale aspetto, esattamente, questa ovvia considerazione sarebbe (nelle parole dei due “Perry Mason” di Kertzer) «un’impervia arrampicata sugli specchi»?


Com’è facile riscontare dalla già proposta sinossi tra versione integrale e versione breve del documento di Tacchi Venturi, i brani mancanti nel nono volume degli ADSS (una nota a piè di pagina non poteva di certo essere fluviale) non sono «quelli meno compromettenti dal punto di vista ideologico». Le parti omesse negli ADSS infatti parlano di un residuo antisemitismo italiano verso gli ebrei delle classi inferiori; riportano dati demografici e sui matrimoni misti; ricordano le posizioni raggiunte dagli ebrei nella società italiana prima del 1938; rilevano l’ingiusta condotta dei nazisti verso gli ebrei italiani che essi vogliono deportare nei loro Lager (dopo che le leggi del 1938 avevano già provveduto a sistemare la “questione ebraica”); sottolineano le inique misure naziste contro gli ebrei italiani, nella speranza che i tedeschi desistano dal proposito di voler continuare le deportazioni; ammoniscono circa il disonore che ricadrà sul popolo tedesco proseguendo in queste pratiche; e infine notano che la Chiesa cattolica non potrebbe tacere al rinnovarsi dei «duri provvedimenti contro la minima minoranza ebraica», ossia contro «uomini e donne non colpevoli di alcun delitto».

Le parti omesse nel volume nono negli ADSS, dunque, sono anche parti che mettono in buona luce la posizione di Tacchi Venturi e della Curia romana rispetto alla “questione ebraica”; il che significa, che, pur considerando la mentalità del gesuita (che qui non si vuole affatto difendere), per quanto imperfetti, i tagli apportati nel volume non sono dolosi o «compromettenti dal punto di vista ideologico [sic]». Di fronte a tutte queste considerazioni, le obiezioni dei due non richiesti difensori d’ufficio di Kertzer rivelano tutta la loro futilità.

 

C’è poi un’incomprensibile osservazione dei due “avvocati nostri” che va rilevata. «Non risulta assolutamente vero – tuonano Benedetti e Dell’Era – che i documenti oggi siano rintracciabili con la facilità di cui parla Napolitano. Attualmente, grazie ad un formidabile lavoro di riordino dei fondi, sono stati prodotti indici molto descrittivi e vari altri strumenti di corredo che facilitano il compito di individuare le carte; ma gli indici vanno studiati, vanno compresi e i documenti attentamente ricercati. Di contro [sic], nel 1965, la Segreteria di Stato vaticana aveva, con ogni probabilità, posto la documentazione di venti anni prima nel suo archivio di deposito e chiunque abbia avuto anche una minima infarinatura di discipline archivistiche sa perfettamente che i titolari e i registri di protocollo devono essere strutturati in modo tale da garantire rapidità e precisione di accesso ai documenti che servono per la vita quotidiana dell’ente produttore, cosa ancora più valida per la Segreteria di Stato vaticana, cuore pulsante della Santa Sede. Dunque, paradossalmente, sarebbe stato più facile reperire i documenti nel 1965 che non nel 2020 e il “caos” archivistico – sicuramente reale per la gran parte degli organi periferici dello Stato vaticano, come delegazioni, nunziature e commissioni – sembra un’attenuante poco sfruttabile».


Qui occorre cooreggere i due giovani ricercatori. Essendoci già occupati del tema circa vent’anni fa, rimanderemo a quegli scritti. Sull’Osservatore Romano noi abbiamo scritto esattamente questo: «Gli ADSS videro la luce in pieno “caos archivistico” vaticano, per rispondere alle prime polemiche sul “silenzio” di Pio XII. I curatori dovevano dare agli studiosi “l’altra campana” della storia di Pio XII» E abbiamo aggiunto che «la situazione del 1965 non è dunque neppure lontanamente paragonabile a quella del 2020. Oggi gli archivi vaticani ci consentono di trovar subito le carte desiderate; nessuno avrebbe ottenuto altrettanto negli anni Sessanta».

 

Sarebbe bastata a Benedetti e Dell’Era qualche minima lettura sulle vicende archivistiche degli ADSS per apprendere che i tre (poi quattro) gesuiti chiamati a pubblicare la serie documentaria vaticana: a) non erano organici alla Segreteria di Stato; b) non erano in grado, da soli, di reperire all’inizio degli anni Sessanta i necessari documenti, anche perché le carte su Pio XII all’epoca erano ancora nell’”archivio corrente” della Segreteria di Stato, ossia nella piena disponibilità degli uffici della Curia vaticana; c) che quest’ultima (non da ultimo, nella persona dell’archivista-capo) si oppose strenuamente al progetto degli ADSS con motivi che andavano dal rischio di violare i cifrari (pretesto quanto mai futile) al rischio di far montare ulteriori polemiche in un periodo molto delicato come quello conciliare; d) che a un certo punto Paolo VI sembrò talmente impressionato da questi rilievi da voler rinunciare al progetto, ripiegando su un paio di “libri di colore” (ossia volumi di documenti di carattere squisitamente apologetico-difensivo); e) che i tre (poi quattro) gesuiti rifiutarono una tale soluzione e posero a Paolo VI l’aut-aut: fare una serie documentaria o non far niente.
Sappiamo poi come andarono le cose.


Di conseguenza, l’ipotesi (non dimostrata) di Benedetti e Dell’Era, che le carte su Pio XII negli anni Sessanta fossero nell’archivio di deposito della Segreteria di Stato vaticana, è del tutto errata. Per ragioni del tutto inspiegabili alla materia archivistica (a cui forse sfuggono le millenarie logiche vaticane), negli anni Sessanta le carte sul pontificato di Pio XII si trovavano ancora nell’archivio corrente, dunque a continua disposizione dei vari uffici dipendenti della Segreteria di Stato. Quando scoppiò la polemica su Pio XII, quelle carte non erano state ancora versate in un archivio di deposito; tantomeno in un archivio storico.
Di conseguenza, tutto potevano fare i quattro gesuiti degli ADSS, fuorché chiudersi in una stanza dell’archivio di deposito a studiare in santa pace tutte le carte su Pio XII. 
Non essendo le carte di Pio XII in un archivio di deposito, era quindi impossibile per gli editori degli Actes non lavorare nel «caos archivistico» che abbiamo descritto. Di conseguenza, cade la surreale l’ipotesi dei due “avvocati d’ufficio” di Kertzer, secondo cui «paradossalmente, sarebbe stato più facile reperire i documenti nel 1965 che non nel 2020».

 

La mistificazione dell’antisemitismo

 

Benedetti e Dell’Era osservano che «l’apice dell’operazione di mistificazione dell’articolo di Kertzer» da parte nostra si tocca quando noi accusiamo lo studioso americano di sostenere che il Vaticano adottò un linguaggio antisemita. A matita blu i due ci correggono: «Kertzer non parla di linguaggio antisemita e non può aver affermato che il Vaticano abbia adottato sempre questo tipo di linguaggio nei suoi documenti ufficiali: parla invece di storia dell’antigiudaismo della Chiesa cattolica».


Non sappiamo quale articolo dell’Atlantic Benedetti e Dell’Era abbiano letto. In quello da noi letto Kertzer scrive che quelli preparati in Vaticano erano «memoranda, steeped in anti-Semitic language», frutto di «discussions at the highest level about whether the pope should lodge a formal protest against the actions of Nazi authorities in Rome». Anche in questo caso, nell’ordinaria successione delle parole da lui usate, Kertzer teorizza un linguaggio antisemita della Curia vaticana, con il quale essa negli anni Quaranta confezionava i suoi memoranda. Che la roadmap dell’autore di un libro che s’intitola The Popes against the Jews. The Vatican Role in the Rise of Modern Anti-Semitism sia esattamente questa, è indubbio: provare l’antisemitismo della Curia romana, in questo caso dei collaboratori di Pio XII, e dunque anche di quest’ultimo (considerato quindi l’ultimo Pope against the Jews, prima dell’avvento di Giovanni XXIII).


 

Le mistificazioni su Dell’Acqua


Inutile negarlo. Dal marzo del 2020 contro mons. Angelo Dell’Acqua (minutante della Segreteria di Stato, poi creato vescovo da Giovanni XXIII, e quindi cardinale e Vicario di Roma da Paolo VI) si è scatenata una pandemia polemica sul suo presunto antisemitismo. Tutto è partito da Wolf per continuare con Kertzer e infine con i suoi emuli in sedicesimo. In altri termini, è una vera e propria roadmap.


La prima domanda che Wolf, Kertzer e i suoi emuli dovrebbero porsi, è la seguente: come mai a mons. Dell’Acqua furono assegnate tutte, ma proprio tutte, le pratiche delle centosettanta posizioni contenute nella Serie nominativa “Ebrei” conservata in Segreteria di Stato?
La seconda domanda deriva dalla prima: possibile che una Curia vaticana così attenta e avveduta non si rendesse conto di mettere una volpe di guardia a un pollaio, visto che Dell’Acqua era antisemita?
La terza e la quarta domanda derivano dalle altre due: possibile che Giovanni XXIII (che non era il “Papa contadino” che gli sprovveduti dipingono, ma un ecclesiastico esperto con una lunghissima carriera diplomatica alle spalle) abbia creato vescovo mons. Dell’Acqua, ben sapendo del suo antisemitismo? Possibile che, su queste basi, il Paolo VI del Nostra Aetate abbia creato cardinale e vescovo ausiliare di Roma un epigono del peggior antisemitismo immaginabile? Possibile che tutto ciò non abbia provocato le proteste della comunità ebraica italiana?

 

Benedetti e Dell’Era rispondono a tale quesito in modo alquanto naif verso la fine del loro scritto. «Cioè: il papa buono e papa Montini non avrebbero mai potuto fare una scelta errata e non avrebbero mai puntato su un prelato su cui gravassero ombre. A ben guardare, però, ribaltando il problema e analizzandolo dal punto di vista scelto da Kertzer, il paradigma della continuità istituzionale funziona ugualmente e forse anche in maniera più logica. Napolitano, che passa al setaccio con giusto rigore filologico le trascrizioni dei due documenti del 1943 in appendice nell’articolo del "The Atlantic", sceglie invece di non analizzare tutti gli altri, tra cui uno firmato da Giovanni Battista Montini al termine della vicenda Finaly nell’agosto 1953 che è illuminante».
Tale documento, sia chiaro al lettore, dimostra che Montini era antisemita esattamente com’è dimostrabile l’esistenza di una sagra della porchetta di soia ai Castelli Romani.


Se abbiamo ben capito, i due difensori d’ufficio di Kertzer ritengono assolutamente possibile che Giovanni XXIII e Paolo VI abbiano commesso un errore nel creare Dell’Acqua vescovo, il primo, e cardinale, il secondo.
Solo che l’unico modo per avvalorare una simile tesi è quella di produrre la documentazione da cui risulti ciò inoppugnabilmente. Ma Benedetti e Dell’Era non suffragano la loro tesi con alcun documento. E, per sostenere una simile tesi, i documenti dovrebbero provare a) che nessuno della Curia romana si accorse dell’antisemitismo di Dell’Acqua; b) che tantomeno se ne accorsero quei collaboratori che da decenni attorniavano Roncalli e Montini (anche prima di esser papi); c) che entrambi i Papi, Giovanni XXIII e Paolo VI, commisero lo stesso errore nell’arco di pochissimi anni; d) che un tale errore fu commesso per ben due volte nonostante l’immensa mole documentaria sull’antisemitismo di Dell’Acqua, conservata negli archivi vaticani, che Roncalli e Montini non potevano non conoscere, ma di cui non si accorsero, né da prelati né da papi (come non se ne accorsero i rispettivi collaboratori).

E’ mai sostenibile, alla luce di ciò, che Giovanni XXIII e Paolo VI commisero un errore a testa nel creare l’antisemita mons. Dell’Acqua vescovo e poi cardinale?

Ecco perché alla domanda sul come mai Giovanni XXIII e Paolo VI elevarono all’episcopato e alla porpora l’antisemita mons. Angelo Dell’Acqua, la risposta più ovvia è quella del “rasoio di Occam”: semplicemente Dell’Acqua non era antisemita.
Benedetti e Dell’Era ovviamente contestano queste nostre affermazioni, ma restano incapaci di rispondere alla domanda più logica che abbiamo posto: perché un antisemita come Dell’Acqua non fu fermato nel suo cursus honorum vaticano da due papi che erano anche due espertissimi diplomatici di lungo corso?
«Spiace notare – essi scrivono, sviando il discorso – che un quotidiano di peso quale L’Osservatore Romano, in evidente difficoltà rispetto alla questione storiografica aperta da David Kertzer» si sia fatto portavoce delle nostre critiche infodnate. I due poi continuano a discettare circa «parole agghiaccianti di mons. Dell’Acqua, trascritte nell’appendice dell’articolo per The Atlantic e peraltro stigmatizzate anche dallo storico cattolico Andrea Riccardi».


Nel loro tentativo di difesa “ipologetica” di Kertzer (che di certo non merita una difesa così male imbastita), Benedetti e Dell’Era compiono le stesse omissioni del loro "assistito".
Kertzer infatti ha teorizzato l’antisemitismo di mons. Dell’Acqua utilizzando solo in modo parziale, nel suo testo, il citato promemoria del 20 dicembre 1943: virgolettando quei passaggi utili alla sua tesi e omettendone altri; salvo poi farsi un “autogol” nell’appendice documentaria.
Infatti, se lasciamo l’articolo di Kertzer e andiamo all'intero documento di Dell’Acqua riprodotto in appendice, ci accorgiamo che tutto si può dimostrare fuorché l’antisemitismo del prelato (ricordiamo: creato vescovo dal “Papa Buono” e cardinale dal Paolo VI del Nostra Aetate).

Riassumiamo allora ciò che emerge dalla lettura “integrale” che Kertzer non ha fatto dell’appunto di Dell’Acqua.

Com’è noto, Dell’Acqua ricevette dal Cardinal Maglione il promemoria di Tacchi Venturi (ricordiamo che fra i due corre oltre una generazione, in termini di convinzioni e di formazione culturale), e il 20 dicembre 1943 notò subito, del documento di Tacchi Venturi, i seguenti punti deboli:
 

  1. Il documento di Tacchi Venturi limitava il suo oggetto agli ebrei italiani (e, fra questi, maggiormente agli ebrei convertiti al cattolicesimo, che per il gesuita negoziatore dei Patti Lateranensi erano il vero oggetto di tutela). Perché limitarsi a una sola tipologia di ebrei, si chiedeva Dell’Acqua? Perché limitarsi a protestare in favore degli ebrei di cittadinanza italiana (dunque i convertiti; dato che gli ebrei non cattolici erano apolidi, avendo perso la cittadinanza)? Quid in merito agli ebrei stranieri, fra i quali non pochi professavano la religione cattolica? Non avevano, gli ebrei stranieri, lo stesso diritto di esser difesi, non solo come figli della Chiesa (nel caso degli ebrei convertiti) ma anche come persone che in parte avevano anche vissuto in Italia? Un altro aspetto ci sembra non secondario, a tal proposito: a giudicare dal memoriale di Dell’Acqua, nella categoria degli ebrei di cui occuparsi si ricomprendevano quelli di nazionalità straniera (cattolici e no). Ciò lascia supporre (ma non ne abbiamo la certezza) che, proprio in virtù di questa distinzione, Dell’Acqua ricomprendesse nella categoria degli ebrei stranieri da tutelare anche gli ebrei italiani ormai apolidi a causa delle leggi razziali, che magari avevano lasciato l’Italia e tutti i loro beni per trasferirsi altrove.
  2. Dell’Acqua rilevava poi che Tacchi Venturi chiedeva che si denunciassero in faccia ai tedeschi i loro maltrattamenti inflitti agli ebrei. Su questo punto, Dell’Acqua si domandava se fosse opportuno procedere come Tacchi Venturi suggeriva. Da ciò qualcuno potrebbe ricavare la prova dell’antisemitismo di Dell’Acqua e del “silenzio della Chiesa” di fronte alla Shoah. Ma se continuiamo a leggere il testo di Dell’Acqua, vi è un’altra interpretazione possibile.
  3. Monsignor Dell’Acqua, infatti, qualche riga dopo criticava la pretesa di Tacchi Venturi d’inserire in una nota verbale vaticana una frase che diceva apertamente che gli arresti degli ebrei compiuti dai tedeschi (come la “razzia” del Ghetto del 16 ottobre 1943, citata espressamente da Tacchi) avrebbe ricoperto di questi ultimi di vergogna. Per Dell’Acqua neppure questo bisognava dire in modo ufficiale. Ma perché? Perché era meglio che il Papa tacesse su arresti e deportazioni? Perché non doveva egli dire che i tedeschi si stavano ricoprendo di vergogna con i loro barbari atti? Alla riga seguente del documento, se ne spiega il motivo.
  4. Dell’Acqua riteneva che espressioni del genere non servissero a raggiungere lo scopo che con la nota in gestazione il Vaticano si prefiggeva. E qual era lo scopo? Quello di non compromettere la rete di aiuti che, proprio a ridosso del 16 ottobre 1943, si era attivata in tutta Roma per far sì che ebrei e ricercati di ogni tipo sfuggissero all’arresto e alla deportazione. Come emerge indubbiamente da una Nota della Segreteria di Stato del 20 dicembre 1943, dunque proprio contemporaneamente agli eventi che narriamo (ADSS, vol. 5, doc. 474).
  5. Ma su un altro punto di soffermarono le critiche di Dell’Acqua. Tacchi Venturi aveva suggerito che la futura nota vaticana menzionasse i fastidi sempre creati dal giudaismo nel suo tentativo di esercitare il proprio dominio o di godere di grande credito nella Nazione. Dell’Acqua rifiutò che una frase del genere fosse inserita in una nota ufficiale. Questo perché gli ebrei avrebbero potuto amaramente commentare: «Altro che protezione della Santa Sede!»
  6. Nel suo promemoria sempre mons. Dell’Acqua menzionava le molte occasioni in cui il Papa aveva affrontato in messaggi e in discorsi la «questione razziale». Ebbene, proprio in virtù di ciò, era opportuno intervenire nuovamente sul punto presso i tedeschi? Non avrebbe avuto, tutto ciò, un effetto opposto a quello desiderato? Siamo qui nella categoria dell’ad maiora mala vitanda: al fine di evitare mali peggiori, soprattutto due mesi dopo il “sabato nero” del Ghetto di Roma (che aveva visto la deportazione di tanti ebrei e la necessaria organizzazione di vie di fuga per salvarne la maggioranza), una parola di troppo avrebbe potuto bloccare e compromettere per sempre l’organizzazione di quella rete di salvezza, di cui mirabilmente ha scritto Andrea Riccardi.
  7. Dell’Acqua rilevava anche un’intima contraddizione nel documento di Tacchi Venturi. Esordendo nelle sue considerazioni, il gesuita scriveva che la situazione ebraica in Italia non aveva quei caratteri di eccezionale gravità riscontrati in altre nazioni: in parte a causa del limitato numero di ebrei residenti nel Regno; in parte a causa dell’alto numero di matrimoni misti. Ma come potevano stare insieme le due cose, si chiedeva Dell’Acqua? Come poteva esserci un limitato numero di ebrei residenti nel Regno e, al contempo, un enorme numero di matrimoni tra questi ebrei e gli ariani?

Di tutte le osservazioni e di tutte le problematiche che abbiamo appena evidenziato non vi è traccia nell’articolo di Kertzer, che pure ha proposto in appendice, in versione inglese, il testo integrale del promemoria di Dell’Acqua.

Si trascura poi un elemento che ci sembra il più importante. Come emerge dal suo appunto letto integralmente, Dell’Acqua “bocciò” la proposta di padre Tacchi Venturi soprattutto per una ragione di cui lo studioso americano non parla affatto: dal Vaticano si era già scritto sulla «questione razziale» due o tre volte, in via confidenziale, all’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, von Weizsäcker. Una prima lettera riservata era stata inviata all’ambasciatore per avere notizie sugli ebrei deportati da Roma; mentre una seconda missiva dal Vaticano chiedeva ai tedeschi di non procedere all’arresto e alla confisca delle proprietà degli ebrei della Venezia Giulia (dove si trovava la Zona di Operazioni Litorale Adriatico, da loro direttamente controllata); con riferimento specialmente agli ebrei che avevano contratto matrimoni misti.
 

Queste due lettere confidenziali della Segreteria di Stato a von Weizsäcker (di cui Kertzer tace, tanto da non riprodurle neppure nei documenti in appendice al suo articolo) erano rimaste senza risposta. Di conseguenza, onde salvaguardare il riserbo dei contatti per gli scopi che la Sede Apostolica si prefiggeva, monsignor Dell’Acqua riteneva più opportuno che si scrivesse nuovamente all’ambasciatore tedesco in Vaticano, facendogli capire che la già grave situazione degli ebrei non doveva essere ulteriormente aggravata. Dell’Acqua suggeriva poi di avvertire anche la Repubblica di Salò, facendo avvicinare da qualche personaggio influente il Maresciallo Graziani (all’epoca Ministro della Guerra della Repubblica Sociale Italiana), per suggerire a neo-stato fascista agire con prudenza sulla questione ebraica. Infine, si sarebbe dovuto consigliare agli stessi «Signori ebrei», di parlare un po’ meno e di agire con altrettanta grande prudenza. Pertanto, la locuzione «Signori Ebrei», che tanto ha scandalizzato qualcuno, va considerata in un tale più complesso contesto.

 

Altri errori fattuali e fatali di Benedetti e Dell’Era


Vi è poi un'altra “dichiarazione-boomerang” messa nera su bianco da Benedetti e Dell’Era. Costoro scrivono che il J’accuse da noi lanciato contro Kertzer prosegue analizzando i due documenti di cui qui si parla, «cercando di minimizzare la loro importanza con l’assunto che essi non arrivarono mai nelle mani del pontefice». «Anche in questo caso – proseguono i due – il punto è un altro e, sebbene al momento non ci siano prove di questo ultimo passaggio, è comunque rilevante il fatto che i più importanti collaboratori di Pio XII, di cui il pontefice si fidava e ai quali delegava questioni di massima importanza e delicatezza, ovvero mons. Domenico Tardini, il card. Luigi Maglione, mons. Dell’Acqua e il gesuita padre Tacchi Venturi, avevano maneggiato, letto e scritto o postillato quei documenti».

 

Queste dichiarazioni di Benedetti e di Dell’Era sono un esempio lampante di “benaltrismo”.
Premesso che il nostro presunto J’accuse non riguarda la persona di Kertzer (ci mancherebbe altro!) ma i suoi scritti (it’s not personal, it’s business), è un dato di fatto che lo studioso americano commette un errore di prospettiva nel suo saggio. Egli infatti scrive: «On receiving the proposed protest, the cautious Pius XII turned to Dell’Acqua for advice. Dell’Acqua responded quickly, sending the pope a lengthy critique». Insomma, il «cauto Pio XII», ricevuto da Tacchi Venturi il progetto di nota verbale, si rivolse a Dell’Acqua per chiedere un consiglio.

Ora, già il fatto che un Papa come Pio XII si rivolga a un umile minutante per chiederne il consiglio contrasta con la prassi e con le procedure vaticane. Pio XII (pur essendone probabilmente a conoscenza) non ricevette mai il progetto di nota di Tacchi Venturi. Il documento, infatti, fu ricevuto dal Cardinal Maglione che lo diede direttamente al suo sostituto, mons. Domenico Tardini, il quale a sua volta lo fece arrivare sul tavolo del suo collaboratore mons. Dell’Acqua. In altre parole, il documento di Tacchi Venturi non “salì” a Pio XII (che poi per Kertzer avrebbe chiesto a Dell’Acqua un consiglio), ma “scese” dal Segretario di Stato Maglione agli uffici dipendenti. Peraltro, non si dava che un gesuita, per quanto importante come Tacchi Venturi ma considerato del tutto estraneo alla Segreteria di Stato (come esplicitamente fu rilevato in Curia), potesse rivolgersi direttamente al Papa saltando precise gerarchie curiali, peraltro a lui ben note.


La manifesta non conoscenza della prassi procedurale della Segreteria di Stato si dimostra poi nella prima versione dell’appendice di documenti proposta da Kertzer in lingua inglese. In quella versione, traducendo il documento di Dell’Acqua, probabilmente gli inesperti collaboratori di Kertzer sono stati ingannati dalla sigla “Eae”, che si legge in un biglietto accompagnatorio al progetto di Tacchi Venturi, e che non significa Eaedem (un latinorum curiale fuori contesto).
Sarebbe bastato sfogliare la lista delle abbreviazioni contenuta nei volumi degli ADSS per apprendere che l’acronimo Eae significa Ex Audientia Eminentissimi, ossia «da un’udienza con il Cardinale Segretario di Stato» per evidenziare istruzioni da questi personalmente ricevute. Conoscere l’acronimo avrebbe fatto sapere a Kertzer e ai suoi che il 19 dicembre 1943 Tardini era stato in udienza dal Cardinal Maglione, il quale gli aveva dato il documento di Tacchi Venturi, chiedendogli di farlo esaminare a Dell’Acqua. Dopo i nostri rilievi sull’Osservatore Romano circa questo punto, il 22 settembre 2020 Kertzer ha opportunamente corretto l’errata citazione dell’acronimo ma l’errore sostanziale è rimasto, dato che anche nella nuova versione del suo articolo per The Atlantic si legge che Pio XII si rivolse a Dell’Acqua per un consiglio; cosa mai accaduta.


Che poi il progetto di nota verbale di Tacchi Venturi non sia mai arrivato sulla scrivania di Pio XII è un dato di fatto. In nessuno dei documenti citati da Kertzer troviamo la sigla EaS (Ex audientia Sanctissimi; ossia «da un’udienza con il Santo Padre»); questa mancanza vuol dire che Pio XII non fu direttamente interessato dell’affaire Tacchi Venturi.
Sbagliano pertanto Benedetti e Dell’Era quando scrivono che non vi sono prove «di questo ultimo passaggio», ossia del fatto che il progetto di nota di Tacchi Venturi non giunse mai sul tavolo di Pio XII. La prova invece c'è: è appunto la mancanza dell'acronimo "EaS" sul documento. E quella mancanza è la prova che non vi fu mai un'udienza concessa da Pio XII per discutere del documento inviato da padre Tacchi Venturi.


 

Sul caso Finaly e sui bambini ebrei battezzati


Scrivono Benedetti e dell’Era che «poche righe vengono dedicate al caso Finaly che è invece il centro dell’articolo di Kertzer». E aggiungono che ne avremmo di cose da scrivere sul caso «del rapimento e del battesimo forzato dei due fratelli Robert e Gérald», proprio in virtù del fatto che il sottoscritto «nel 2005, insieme ad Andrea Tornielli, ne scrisse in un libretto, una sorta di instant book, uscito in tutta fretta dopo che lo storico della Chiesa Alberto Melloni, nel dicembre del 2004, aveva dato al “Corriere della Sera” ampie anticipazioni del ritrovamento di documenti che dimostravano l’esistenza di istruzioni ben precise da parte del S. Offizio nella gestione del caso che era divenuto nel 1953 uno scandalo di proporzioni internazionali, al pari di quello del 1858 di Edgardo Mortara».


Queste righe dimostrano che Benedetti e Dell’Era non sanno di che cosa parlano. Il caso sollevato dal professor Melloni sul Corriere della Sera del 28 dicembre 2004 non riguarda il caso Finaly del 1953. Le istruzioni del S. Uffizio che essi ricordano sono del 1946 e riguardano un caso più generale: quello dei bambini ebrei ospitati da istituti cattolici e spesso reclamati da organizzazioni ebraiche, e non dai diretti congiunti. Era un caso complesso ma, ripetiamo, del 1946, per niente affatto riguardante i fratelli Finaly.

Di più. Se Benedetti e Dell’Era conoscessero davvero i libri di cui parlano, saprebbero benissimo che l’instant-book nostro e di Andrea Tornielli è frutto di lunghe e laboriosissime ricerche condotte per quattro o cinque mesi negli archivi, certamente sull’onda della polemica planetaria scatenata dall’articolo di Melloni, ma raccogliendo una mole impressionante di documenti con la maggior perizia possibile ma anche, come dire, con un un po’ di “fortuna corsara”, data la “chiusura” delle carte su Pio XII.
Tornielli e chi scrive ricordano ancora quell’epico momento, in cui la loro vita natalizia familiare fu sconvolta dal “caso dei bambini ebrei battezzati”; mesi dopo ne sarebbe sortito il libro Pacelli, Roncalli e i battesimi della Shoah. A questo volume, che peraltro contiene anche un denso capitolo (quanto più accurato possibile) sul caso Finaly, rimandiamo, scusandoci per la tirannia di sintesi redazionale imposta dai quotidiani.
Naturalmente, il volume dà conto anche di quel documento che i due autoproclamatisi avvocati d’ufficio di Kertzer hanno riprodotto (e di cui naturalmente possediamo copia dell’esemplare “non foliato”, ossia riprodotto anteriormente alla sua messa a disposizione degli studiosi solo quindici anni più tardi). Aggiungiamo che anche il documento citato da Benedetti e da Dell’Era tutto dimostra tranne che Pio XII fosse un “rapitore di bambini” (questa fu la tesi di David Goldhagen, a commento dell’uscita dell’articolo del professor Melloni; con l'immaginabile strascico di polemiche).



Conclusioni

 

Alla fine di tutto ciò rimane una nuova stagione di studi ancora tutta da scrivere: una stagione meditata, non affrettata: nonostante alcuni esempi di cogitatio praecox versati più sul fronte dello scoop polemico che su quello dell’attenta comparazione delle fonti.

Se pertanto ci si chiede «che cosa sta succedendo quindi in Vaticano», la risposta da dare non è un superficiale «in realtà, nulla di nuovo». Sta invece succedendo di tutto e di più. Gli attacchi più recenti alla Chiesa di Pio XII sono provenuti, in piena pandemia, da uno studioso, Hubert Wolf, che dopo soli quattro giorni di apertura delle carte (chiuse poi per lockdown) già maneggiava roteanti pistole fumanti contro Papa Pacelli. Quello studioso ha tracciato la famosa roadmap sull’antisemitismo di mons. Angelo Dell’Acqua e sulle omissioni dolose degli ADSS. Kertzer l’ha semplicemente seguita, nel modo che abbiamo visto.
 

Non si tratta quindi di attacchi all’immagine di Pio XII. E non è in gioco neppure il suo processo di beatificazione. Lo storico è alieno da tutto ciò; deve guardare solo alle carte, non essendo un teologo o un “avvocato del diavolo” esperto di miracoli e no.
Se pertanto la roadmap di qualcuno è d’impedire la prosecuzione di un processo di beatificazione di Pio XII, noi dobbiamo confessare la nostra totale incompetenza sul tema. Se invece la roadmap è quella di scrivere la storia di un periodo così denso di eventi, come quello qui trattato, con metodo “apologetico” (difendere acriticamente a prescindere) o ipologetico (citare ad usum i documenti, tagliandoli e incollandoli per asservirli a tesi precostituite, e tacendo dell’altro che pur fu detto e scritto), allora la questione cambia e la comunità degli storici deve assumersi le sue responsabilità.

A maggior ragione tale responsabilità dello storico è necessaria alla vigilia di quella che abbiamo chiamato una «nuova stagione di studi su Pio XII» grazie alla «democrazia digitale» dei documenti resi disponibili.

A proposito: sbagliano Benedetti e Dell’Era quando, «per completezza di informazione,» scrivono che «colui che per primo ha posto in evidenza questa avveniristica scelta dell’Archivio Storico della Seconda Sezione della Segreteria di Stato è stato proprio David Kertzer, in un’intervista pubblicata il 4 maggio 2020 sulla rivista scientifica online Giornale di Storia».
In verità, Benedetti e Dell’Era ignorano che a parlare di questa nuova «democrazia digitale» (inaugurata già il 3 ottobre del 2016 con l’apertura delle Carte Casaroli) è stato il Direttore dell’Archivio della Segreteria di Stato, Johan Ickx, insieme a chi scrive, in una sede ufficiale: in occasione della prima celebrazione, sotto gli auspici dell’Osservatore permanente della Santa Sede, della Giornata della Memoria, presso il Quartier Generale delle Nazioni Unite, lo scorso 27 gennaio 2020.

Lo stesso concetto abbiamo ribadito noi stessi, in varie interviste rilasciate alla vigilia e a ridosso dell’apertura delle carte su Pio XII, e ovviamente il 3 marzo 2020 in un nostro articolo che ha avuto diffusione piuttosto ampia[6].

E’ un’ulteriore evidente prova del fatto che nulla è più inedito di ciò di cui s’ignora l’esistenza.


[1] D. Kertzer, The Popes against the Jews. The Vatican Role in the Rise of Modern Anti-Semitism, New York, Vintage Books, 2002, p. 206.

[2] Ivi, p. 265.

[3] D. I. Kertzer, Anti-Semitism and the Vatican: On Anti-Judaism, Anti-Semitism, and the Holocaust, in “Kirchliche Zeitgeschichte”, 2003, Vol. 16, No. 1, Christian Teachings about Jews National Comparisons in the Shadow of the Holocaust, (2003), pp. 76-91; p. 78 per la citazione.

[4] D. I. Kertzer, The Pope and Mussolini: The Secret History of Pius XI and the Rise of Fascism in Europe, New York, Random House, 2014, p. 345.

[5] La parte integrale del documento si trova in Archivio Storico della Sezione Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana (d’ora in poi: ASSRS), Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari (d’ora in poi: AA.EE.SS.), Periodo V: Pontificato di Pio XII (1939-1958), pos. 1054, Italia, Asterisco, ff. 1104-1105. La versione abregée dello stesso documento trovasi in Actes et Documents du Saint-Siège (d’ora in poi: ADSS), vol 9: Le Saint-Siège et le victimes de la guerre (Janvier-Décembre 1943), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1975, nota 1 a p. 611.